Le elezioni inglesi
Il risultato delle elezioni inglesi si presta a vari commenti. Il primo, un po’ scontato, è che le previsioni della vigilia vanno prese con le molle. Quasi tutti prevedevano un virtuale impatto, un Parlamento senza maggioranza e una Gran Bretagna ingovernabile. In realtà i conservatori hanno vinto conquistando una maggioranza risicata, sì, ma sufficiente (331 seggi su 650). David Cameron potrà o meno rafforzarla imbarcando i Liberaldemocratici, grandi perdenti ma fino a ieri suoi alleati, ma in una democrazia collaudata e seria come quella britannica anche con due voti in più si governa. Bene per la Gran Bretagna e per l’insieme dell’Europa, giacché un periodo di instabilità e di incertezza in un Paese tanto importante sarebbe stato negativo.
La seconda considerazione è che Cameron ha vinto perché le cose, dal punto di vista economico, vanno bene per la Gran Bretagna e l’economia è un fattore chiave al momento di far votare una massa di indecisi. Si è aggiunto il tema della sicurezza, per il quale i conservatori sono percepiti, a torto o a ragione, più affidabili dei laburisti. L’esultanza di Forza Italia per la vittoria di Cameron, come per quella di Sarkozy in Francia, è patetica (a proposito, ma Berlusconi non era l’amicone di Tony Blair?). Non è che l’Europa “vada a destra”. Gli elettori, in Europa come altrove, votano per chi ha governato bene e quando sono passabilmente soddisfatti del presente e fiduciosi nel futuro (per esempio in Spagna è assai probabile un ritorno socialista, com’è accaduto in Grecia) e puniscono chi li delude. Insomma, non esistono “tendenze continentali” da cui trarre un presagio quasi automatico per l’Italia. Tra l’altro, paragonare i conservatori britannici all’armata Brancaleone della destra italiana è davvero azzardato. Ma se negli anni 2010 e 2011 l’economia e le finanze italiane fossero state in ordine, il Governo Berlusconi avrebbe retto fino al 2013, e senza la crisi, la corruzione e gli scandali, Grillo avrebbe preso molti meno voti e il centro-destra avrebbe potuto vincere di nuovo. I governi si giudicano alla luce dei risultati, non delle chiacchiere e Berlusconi, ahimè, non è Cameron.
Questo non vuol dire che il centro-destra non possa ritornare a vincere. Non solo per gli errori che può fare la sinistra (com’è accaduto in passato) ma per la sua capacità di attrarre in massa i moderati che non amano gli estremismi di nessun tipo.
In queste elezioni inglesi, i laburisti rappresentavano quella parte (un terzo circa) della società che non si è beneficiata dello sviluppo economico e si è vista tagliare molti programmi sociali. La crescita economica britannica ha avuto un costo sociale abbastanza pesante. Difatti i laburisti hanno vinto nelle zone meno agiate e più proletarie. Non hanno saputo andare oltre, prova che, se non capisce che la produzione della ricchezza viene prima della sua più equa ripartizione e la condiziona, e sottovaluta il problema della sicurezza e dell’immigrazione, riproponendo vecchie ricette e vecchie utopie, la sinistra è destinata a perdere. Una lezione per i vari Bersani, Vendola, Civati, Camusso. Spero che, come Tony Blair a suo tempo, questo Renzi lo abbia capito. Va detto per giustizia che i laburisti hanno perso soprattutto in Scozia, dove sono stati letteralmenrte travolti dalla valanga del Partito Nazionale Scozzese. Hanno pagato, cioè, non tanto per le proprie politiche sbagliate, ma per l’ondata indipendentista o almeno autonomista che attraversa la Scozia anche dopo il referendum perduto. Avrebbero perso lo stesso, ma meno pesantemente. La terza considerazione è che l’UKIP, il partito antieuropeo e anti-sistema, ha preso una batosta, arrivando quarto, a grande distanza dai due primi partiti, e non avrà più di due deputati. Sarà, dunque, irrilevante. La sua agenda sciovinista non ha fatto presa su un elettorato da secoli attaccato alla democrazia.
Non così gli indipendentisti scozzesi, che ora hanno la possibilità di tallonare il governo perché realizzi il programma di autonomie a suo tempo promesso da Cameron. Questi però ha posto (o meglio confermato) i limiti: egli vuole un Paese unito in tutte le sue componenti, Inghilterra, Scozia e Irlanda del Nord (marginalmente, è assai probabile che Londra continuerà a difendere con intransigenza la sovranità inglese sulle Isole Falkland/Malvinas, per cui qualche speranza argentina di revisione della posizione britannica mi pare illusoria).
Quali le conseguenze della vittoria conservatrice sui rapporti della Gran Bretagna con l’Europa e con il mondo? Nessuna, credo. Il Governo di Londra continuerà a sostenere la NATO, coltivare la “relazione speciale” con gli Stati Uniti e mantenere con l’Europa un rapporto reticente e alle volte contenzioso. E Cameron sarà in grado di mantenere la promessa di refererendum nel 2017 sul restare od uscire dall’UE. Ma questo tema merita considerazioni che faremo a parte.
Una lezione infine va tratta dagli eventi inglesi: come ha rilevato ieri l’on. Potito Salatto su queste colonne, i leader che perdono se ne vanno. I capi del Partito Laburista, dei Lib-Dem e dell’UKIP hanno subito presentato le loro dimissioni non formali. Che esempio per certi nostri politici che restano disperatamente afferrati alle loro poltrone!