Congo, niente velo niqab per le donne musulmane
Il paesaggio religioso evolve in modo spettacolare in Africa Centrale, soprattutto nel Congo-Brazzaville. In questo Paese, tradizionalmente Cattolico e dalle origine animiste, la crescita dell’Islam viene per la prima volta quantificata in cifre. I primi dubbi sulla “permissività” dello Stato in campo religioso si fanno strada.
Secondo la diocesi di Kinkala, suffraganea della diocesi di Brazzaville, la religione Musulmana sta diventando la seconda religione nazionale per numero di credenti (452.000). Certamente non si avvicina minimamente alle cifre che compongono la comunità Cattolica (2.400.000), ma sembrerebbe soppiantare le potenti chiese del Risveglio (189.400) così come le chiese evangeliche (150.000). A forza di dibattiti interreligiosi e attraverso una forte campagna d’islamizzazione portata avanti da ex studenti di ritorno dall’Egitto e dall’Arabia Saudita, i Musulmani congolesi sono riuscita a crearsi un posto importante in seno alla società, facendo aumentare in modo folgorante il loro numero. Sempre più individuabili, soprattutto nei piccoli commerci che gestiscono a Brazzaville o Pointe-Noire, i Musulmani si sono imposti come una forza con la quale bisogna ormai fare i conti nella vita pubblica. Se molti congolesi, colpiti dalle esazioni perpetrate da Boko Haram (Nigeria) e dall’Isis (Siria, Irak), vedono male questa progressione, il Governo continua a garantire la libertà di culto totale ai Musulmani. Se la loro crescita è tangibile, qualcuno dubita dei numeri pubblicizzati dalla diocesi di Kinkala, e si pongono un certo numero di domande, soprattutto sulla credibilità dei conteggi effettuati. In effetti, nessun censimento generale della popolazione è stato fatto in Congo-Brazzaville dal 2002/2003, periodo in cui il Paese stava vivendo momenti di grande tensione a causa delle controverse elezioni presidenziali che videro Sassou vincere con il 90% delle preferenze. Altro numero stonato: quello particolarmente insignificante di adepti della Chiesa Evangelica (150.000), noti per la grande attività e per le prediche svolte su tutto il territorio. Gli scettici vedono in queste cifre una manovra per istaurare un clima di psicosi e tensione tra le comunità religiose del Paese, altri costatano una effettiva crescita e l’importanza di una comunità Musulmana con la quale il Congo ha sempre saputo venire a patti.
Il Congo-Brazaville è sicuramente uno Stato laico, ma le origini Bantu della sua popolazione vittima di una forte cristianizzazione durante l’epoca coloniale per molti congolesi non giustifica la costruzione a Brazzaville della più grande moschea dell’Africa Centrale. La laicità è stata introdotta bella Costituzione per evitare la dominazione di una delle correnti della religione cristiana (Cattolici, Protestanti, Salutisti…) sulle altre. I cristiani nel Paese sono il 98% della popolazione. Molti si chiedono perché fare tanto spazio all’Islam? Ci sono tante chiese in Qatar? Il Qatar, che finanzia e dirige questo progetto, è accusato da alcuni Paesi musulmani di finanziare gruppi integralisti che fanno del terrorismo il loro credo. Si, il Congo-Brazzaville è assolutamente uno Stato laico e per certi aspetti anche progressista, ma non tutti i suoi abitanti sono per queste “larghe vedute” nell’accoglienza dei musulmani che ritengono essere bombe ad orologeria. Ormai è risaputo che a volte Imam incoraggiano i fedeli a radicalizzarsi per perpetrale atti violenti contro tutti coloro che sono giudicati “nemici” del Profeta. Altri ritengono che la crudeltà della setta Boko Haram abbia fatto nascere pregiudizi sui musulmani, che si sono visti tutt’a un tratto catalogati come “barbari intolleranti”. Il Mali, la Nigeria, il Camerun, il Niger, la Repubblica Centrafricana, la Somalia, il Ciad subiscono oggi la follia degli islamisti, e la costruzione di questa grandissima mosche dell’Africa Centrale a Brazzaville preoccupa perché può essere fonte di danni.
Risparmiato dalle violenze che hanno colpito i suoi vicini camerunesi, nonostante la tolleranza verso l’Islam dimostrata finora, il Congo, attraverso una dichiarazione del suo Ministro degli Interni Raymond Zéphiyrn Mboulou) ha deciso nei giorni scorsi di vietare alle donne musulmane di portare il velo integrale nei luoghi pubblici “per evitare qualsiasi atto di terrorismo”, decisione che sembra essere stata accettata senza problemi dalla minoranza musulmana, come ha fatto sapere El Hadj Abdoulaye Djibril Bopaka, che presiede il Consiglio Islamico del Congo. Il Consiglio è stato informato dal Governo la settimana scorsa, e ha chiesto 15 giorni per sensibilizzare la comunità musulmana. Le donne musulmane potranno indossare il niqab a casa e nei luoghi di culto, ma non nei locali pubblici. Il problema per Bokapa non sussiste perché quelle che indossano il velo integrale sono una piccola minoranza. Secondo il Consiglio Superiore Islamico, la decisione delle autorità è giusta perché ci sono testimonianze che provano che delle non-musulmane si nascondevano dietro al niqab per commettere atti disonorevoli. Contrariamente al vicino Camerun che è stato duramente colpito da Boko Haram, il Congo non ha registrato attacchi di quel genere sul suo territorio. In Nigeria, diversi attentati omicidi sono stati commessi da donne che dissimulavano l’esplosivo sotto alla loro hijab. Anche se il Congo per ora è stato risparmiato da tanta violenza, in un’intervista a Bloomberg, il Presidente del Congo Denis Sassou Nguesso ha sottolineato quanto fosse importante la cooperazione internazionale per mettere fine alla piaga di Boko Haram. Dal Ministero degli Interni si precisa, anche se in via anonima, che questo divieto fa parte dell’operazione “Mbata ya Bakolo” (schiaffo dei Vecchi in lingua Ingala) iniziata il 3 Aprile del 2014 per lottare contro l’immigrazione clandestina e arginare così la criminalità e il mercato nero. Il flusso migratorio dal Congo-Kinshasa al Congo-Brazzaville è iniziato durante la Prima guerra Pana Africana nel 1996 e non è ancora risolto. L’operazione è molto contestata e le crisi tra i due stati gemelli è sempre ad sempre ad alto rischio.
Da quando è stato reso noto il divieto di velo integrale, non si è registrato nessun movimento di contestazione. Anzi, il Consiglio Superiore Islamico si sta prodigando in una vasta campagna di informazione e sensibilizzazione presso i suo fedeli. “Bisogna informare adeguatamente gli interessati per evitare di cadere negli errori che nascono da una cattiva propaganda”, ha affermato Bokapa, “abbiamo già avuto una grande riunione con tutti gli Imam di Brazzaville che si sono presi l’impegno di fare da passaparola”. Bokapa ha anche precisato che “ anche il mantenimento della sicurezza è compito della religione”. I fedeli intervistati, quasi tutti immigrati, si sono dichiarati a favore della decisione del Governo, a patto che venga applicata in modo corretto. Non verranno tollerati né il disordine né gli sbandamenti nell’esecuzione di questa decisione, perché tutti vogliono la sicurezza. In molti condividono l’idea che se il Governo ritiene che il Paese sia esposto a qualche rischio, può porre dei divieti: la legge non è né cristiana né musulmana, è per il bene ti tutti. “Siamo ospiti, non abbiamo molta scelta, ci conformeremo alla legge congolese perché non siamo a casa nostra”. Tolleranza, maturità, paura? La Storia del Congo non è delle più lineari, ma in quanto a “regole” sembra riuscire nel suo intento. Funzionerà? Oggi, dopo la Francia e il Belgio, il Congo-Brazzaville è il terzo Paese del Mondo ad adottare tale provvedimento in nome della “sicurezza”.