Cronache dai Palazzi

Bruxelles annuncia un giudizio complessivo positivo sulle riforme del governo italiano ma il Bel Paese torna ad essere “sorvegliato” su previdenza e fisco, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato il blocco delle indicizzazioni sulle pensioni più alte. In pratica l’Italia viene considerata “eleggibile” per la cosiddetta “clausola delle riforme” del Patto di Stabilità, che garantisce margini più ampi sui conti pubblici ai Paesi che adottano riforme strutturali, ma a condizione che il governo “prenda le misure necessarie a compensare l’impatto della decisione della Corte costituzionale”, avverte la Commissione europea. A ridosso della sentenza della Consulta il governo deve “assicurare che l’Italia resti nel braccio preventivo del Patto, che sia rispettato il margine di sicurezza sul deficit e che l’obiettivo di medio termine sia raggiunto in 4 anni”. L’Ue intende inoltre monitorare l’andamento delle riforme che dovranno essere attuate “adeguatamente”.

La preoccupazione maggiore riguarda il debito pubblico italiano che Bankitalia ricorda essere arrivato a 2.184 miliardi di euro, una notizia che in parte oscura i dati positivi comunicati dall’Istat, secondo cui l’Italia è entrata finalmente in una fase di crescita in vista di un leggero ma significativo aumento del Pil, un +0.3% al quale si aggrappano le speranze di una ripresa lunga e faticosa.

La sentenza della Corte costituzionale incide però pesantemente sui conti pubblici e la minaccia di un deficit eccessivo torna a pesare sull’Italia. Per ora c’è solo una bozza di decreto legge sulle pensioni, che sarà sul tavolo del Cdm già da lunedì, ma nel governo e anche nel Pd c’è chi vorrebbe rinviare la soluzione a fine maggio, dopo le Regionali. Per il momento potrebbero essere enunciati solo dei principi generali dell’operazione senza mettere nero su bianco soglie e percentuali, senza precisare quanto sarà rimborsato e a chi. Il premier Renzi temporeggia e invita il ministro dell’Economia  a non accelerare nessuna decisione, Pier Carlo Padoan vorrebbe a sua volta “minimizzare la spesa”, si parla di un esborso non superiore a 2,5 miliardi di euro nel 2015. Restituire tutto a tutti per il passato e l’anno in corso costerebbe, al netto delle imposte, 11 miliardi di euro, quattro volte la spesa ipotizzata dai tecnici di via XX settembre che stanno lavorano alla ricerca della soluzione più economica. L’importante è lavorare bene, evitando altri richiami della Corte e soprattutto mettendo mano ad una riforma complessiva della previdenza in grado di riequilibrare i pesi e i sacrifici lavorativi tra le generazioni, come ha sottolineato in Parlamento il presidente dell’Inps Tito Boeri. Un’operazione di medio-lungo periodo che avrebbe tra l’altro il vantaggio di far slittare la questione spinosa dei rimborsi a fine mese, evitando lo scontento di milioni di pensionati che potrebbero andare a votare con la speranza di avere indietro ciò che gli spetta.

A proposito di conti pubblici la Commissione europea lamenta i “passi limitati” sulla spending review e chiede un’accelerazione sulle privatizzazioni che potrebbero favorire la riduzione del debito italiano. La riduzione del cuneo fiscale, per cui l’Italia deve procedere nel breve termine sulla delega fiscale per tagliare esenzioni e detrazioni, si aggiunge a tutto il resto come la situazione delle banche, che preoccupa l’Ue e per cui l’Italia deve “introdurre entro fine 2015 misure vincolanti per affrontare le restanti debolezze nella governance bancaria, in particolare le fondazioni, e prendere misure per accelerare la riduzione dei crediti deteriorati”.

Non mancano all’appello Pubblica amministrazione, mercato del lavoro, fisco e scuola, tutti cantieri aperti rispetto ai quali l’Italia “deve attuare le sue intenzioni”. In particolare l’Ue lamenta interventi deboli sulla disoccupazione giovanile, che si combatte anche con la riforma della scuola e il rafforzamento dell’istruzione professionale, e progressi insufficienti nella lotta alla povertà. “Solo un risanamento forte e favorevole alla crescita, una crescita nominale sostenuta e ambiziose riforme strutturali” possono fronteggiare il debito pubblico che rimane il più pesante elemento di vulnerabilità per l’Italia.

Proprio a proposito di riforma della scuola il premier Renzi si mette alla lavagna e registra la sua lezione di 18 minuti per spiegare a studenti e professori gli elementi positivi del lavoro del governo, e per smentire le false notizie che negli ultimi giorni hanno fatto il giro delle piazze riempiendo gli striscioni delle varie manifestazioni di protesta. Dalla Biblioteca di Palazzo Chigi, con alle spalle l’intera Treccani, su una tradizionale lavagna scolastica Renzi riporta gli elementi positivi della sua riforma sulla scuola e sottolinea i “no”, ossia quello che di errato è stato diffuso. Tutto ciò in un video che diventa subito virale.

Il premier si dichiara comunque “felice perché la scuola è tornata al centro del dibattito” e afferma di essere “disponibile al dialogo purché sia “sereno, perché la scuola non appartiene a nessuno”, e purché “non si facciano battaglie politiche”, e non si ricorra a “slogan ideologici”. L’obiettivo della lezione di Renzi è entrare nel merito del provvedimento e spiegare ad esempio che occorre premiare il merito: “La buona scuola siete molti fra voi, non tutti voi”, afferma il presidente del Consiglio rivolgendosi in particolare ai docenti.

Conosco “l’orgoglio che vi anima, la tenacia che vi sorregge, la professionalità che vi caratterizza”, dice Renzi ai professori che lo ascoltano, ma non si tratta di doti che appartengono a tutti. Il premier smentisce alcune cose “che non esistono, per esempio che il governo tocca le vacanze degli studenti”. Un messaggio, quello di Renzi, che sembra rispondere alle esigenze da campagna elettorale, prima di tutto l’esigenza di raggiungere il maggior numero di elettori, tra cui i 100 mila insegnanti precari che secondo il presidente del Consiglio saranno assunti “per dare continuità” al percorso scolastico, ad “un modello di scuola diverso”. Per chi è già assunto invece Renzi rimarca un principio cardine: “Dare più soldi a chi li merita”. Per quanto riguarda il blocco degli scrutini, infine, Renzi confida nella responsabilità degli insegnanti che sono “persone serie, perbene e non mettono a rischio i propri ragazzi e il lavoro di un anno”.

La riforma della scuola non è la legge elettorale e “io non dico prendere o lasciare”, afferma Renzi, bensì occorre “ragionare sul futuro dei figli”. L’esecutivo non è intenzionato a mettere la fiducia e porterà avanti un confronto ampio sulla riforma. Per il momento l’Aula di Montecitorio – con 243 sì, 107 no e 1 astenuto – ha approvato l’art. 1 del ddl “la buona scuola”, per cui “finalmente si potrà dare piena attuazione all’autonomia”, scrive il ministro Giannini su Twitter.

Altro nodo della matassa è la riforma della Rai e se non ci sarà al rinnovo del Cda si procederà con la legge Gasparri, “ma io credo ci sia spazio per poter portare la riforma della governance Rai in Parlamento e votarla”, ha affermato Renzi in un’intervista a Radio anch’io su Radio 1. L’obiettivo è evitare “forzature” e “voti di fiducia”. “La Rai è un pezzo del ragionamento del sistema Paese” e va ribadita la sua “funzione educativa”.

Alla fine dei giochi la presidente uscente della tv pubblica, Anna Maria Tarantola, in commissione Comunicazioni del Senato ha comunque bocciato alcuni aspetti della riforma del governo Renzi: procedure di nomine non trasparenti, incertezza sul ruolo del Cda, assenza di riferimenti alla mission e alle incompatibilità. Tarantola ha inoltre difeso il lavoro svolto nei tre anni a viale Mazzini insieme al direttore Gubitosi affermando: “Siamo intervenuti su diversi aspetti e voglio sottolinearlo perché a volte ho l’impressione che questi tre anni vengano considerati una sorta di limbo”. Non era mai accaduto che un presidente uscente attaccasse così chiaramente una riforma legata alla Rai rivolgendosi duramente al governo.

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