Destra o sinistra, la scuola non si tocca
Ci risiamo. Altro Governo, altra riforma della scuola e stesse proteste. È un mondo difficile quello dell’istruzione, non solo perché è lo strumento che plasma le nuove generazioni, ma anche perché, soprattutto la scuola pubblica, assorbe una grande quantità di risorse economiche e di personale.
La scuola, soprattutto nei suoi gradi maggiori, è anche stata un importante strumento di formazione politica, passando dai balilla mussoliniani, fino alle manifestazioni del ’68. Qualsiasi Governo, di qualsiasi colore ed estrazione ideologica abbia tentato di mettere mano al mondo dell’istruzione, si è sempre e comunque trovato davanti un muro di studenti ed insegnati determinati a mantenere inalterato lo status quo di questa potente casta. Perché di casta si tratta. Passando dai baroni universitari, agli insegnanti sindacalisti agli studenti reazionari. A governare il sistema sono loro e la volontà di lasciare tutto immutato prevarica ogni Governo.
Non è necessario addentrarsi nel testo della riforma per trovare le ragioni di una o dell’altra parte, che possono essere più o meno condivise. Ciò che veramente fa riflettere è la trasversalità con cui le proteste colpiscono indistintamente chiunque decida di mettere mano alla scuola. Nella storia recente ricordiamo le proteste (estremamente accese) sia sotto la “famigerata” Gelmini, che con il più serafico Fioroni, per arrivare all’attuale Ministro Giannini. Quest’ultima, a differenza dei suoi predecessori, si può considerare un tecnico, accademico di lungo corso che da sempre vive le dinamiche della scuola italiana, criticata al pari di un “semplice politico”.
Quindi il problema non è cosa sia scritto nel testo di riforma, ci si ferma soltanto al fatto che si scriva qualcosa. Non ci sono state vere rivoluzioni nel sistema scolastico italiano, niente modelli di integrazione al sistema europeo e scarse riforme del sistema d’istruzione. Tutto rimane immutato da decenni. Non si giudicano i professori, non si correggono i modelli d’apprendimento, non si modificano i programmi. Le scuole sono distanti dalle imprese e le università non ti preparano al mondo del lavoro.
Di certo, se si considera il semplice livello di preparazione media dei nostri studenti con quelli degli altri paesi europei, l’Italia è ai primissimi posti, ma se si sposta l’attenzione sull’integrazione tra scuola/università e mondo del lavoro, si precipita clamorosamente in fondo alla classifica.
Il nostro è un buon sistema scolastico, ma come molte cose in questo paese rimane troppo spesso ancorato ad un passato che con il tempo ha generato privilegi ai quali, oggi, nessuno vuole più cedere. Se davvero vogliamo un sistema migliore è necessario convergere tutti assieme nella consapevolezza che l’Italia si deve aggiornare, e il primo strumento per farlo è pensare ad un sistema-scuola differente.