Viaggio nel cuore di Expo
Dopo mesi e mesi ad attenderne l’apertura ufficiale, finalmente davanti ai nostri occhi si rivela il mondo di Expo Milano 2015. Un’area geografica a parte, posta ai confini della capitale lombarda, da raggiungere coi mezzi di trasporto pubblici, all’ultima fermata di Rho-Fiera. Superati i tornelli con il pass di ordinanza, ecco presentarsi il sito dell’Esposizione Universale così com’è, a confronto con tutte quelle immagini che avevamo costruito nell’attesa di vederla dal vivo.
E così ci ritroviamo all’improvviso in una nuova dimensione, a passeggiare tra le due vie principali, il Decumano e il Cardo, che si incontrano nella sempre assolata Piazza Italia. Consultando una mappa o chiedendo aiuto ai volontari, la gente costruisce il proprio percorso di visita; a volte si lascia tutto al caso, facendosi incuriosire dall’architettura dei padiglioni più avveniristici.
Visitare Expo è un mix di singole esperienze che si incastrano tra loro, perché ogni padiglione ha la propria identità ed è immediata la voglia di commentarne la struttura, gli spettacoli all’interno e gli elementi più interessanti. Ma come si svolge la visita a un padiglione? All’ingresso, saremo invitati da hostess e steward a seguire il percorso fino all’entrata, per introdurci nella prima sala. Davanti ai padiglioni più gettonati, la gente verrà suddivisa in gruppi progressivi e ci sarà da aspettare un po’. È il caso ad esempio del Kazakhstan, dove nel grande spazio principale viene presentata la millenaria cultura del paese, le principali pratiche in campo agricolo, i tipici allevamenti di storioni e di cavallette. Si potrà anche assaggiare il latte di cavalla, dal gusto discutibile ma molto buono per la salute, dicono.
Il Giappone è un altro dei padiglioni più affollati, con una durata minima della visita di cinquanta minuti: qui verremo accompagnati in un percorso sensoriale variegato, che stimola i sensi con percorsi tattili, immagini fluorescenti, illusioni ottiche e vetrine che mostrano la ricchezza della gastronomia giapponese. Nell’ultima sala si assisterà ad uno show presentato da due conduttori, con l’ausilio di schermi interattivi ad illustrare i piatti più famosi, gli ingredienti e la loro storia nel costume popolare. A fine visita, un ristorante promette di offrire il miglior menù della cucina locale, ma ad un prezzo decisamente oltre la media.
Perché la domanda che sorge spontanea visitando Expo, crogiolo della cultura alimentare nel mondo, è la seguente: ma si assaggerà qualcosa? Una semplice considerazione, forse un po’ ingenua, che deriva dall’immagine data all’esterno dell’evento più importante dell’anno. Lo slogan Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita, richiama alla mente il cibo e la sostenibilità alimentare, che dovrebbe incentivare la pratica di un’alimentazione più sana e riflettere su come ridurre la carenza di cibo nei paesi più poveri. Ed è proprio da una visione più consapevole di ciò che mangiamo, che ne deriverebbe una maggiore attenzione verso gli sprechi e una rieducazione al bene primario del cibo.
Proseguendo la nostra scoperta del sito di Expo, ci imbattiamo nell’edificio più imponente e visitato di tutti: Palazzo Italia. Una struttura imponente, dal design iper-moderno a rappresentare due mani che si uniscono per custodire una foresta al loro interno, destinata ad esporre delle mostre sul tema delle quattro “potenze” italiane: il Saper Fare, la Bellezza, il Limite, il Futuro. Tutta una serie di installazioni digitali, sale con schermi che riproducono la bellezza dei paesaggi e dell’architettura del nostro paese, oltre ad angoli didattici dove bambini e ragazzi discutono insieme il tema del cibo con attività ludiche e presentazioni. L’impressione generale che si coglie dalle parole della gente è di uno spazio dai contenuti un po’ troppo concettuali, quando invece ci si sarebbe aspettata una vetrina del meglio del nostro paese nel mondo, dal Made in Italy alla ricchezza artistica e culturale, dall’enogastronomia d’eccellenza allo stile di vita italiano tanto celebrato all’estero.
Un’altra tematica di fondamentale importanza che si coglie nel corso della visita ad Expo è l’innovazione nel campo dell’agricoltura: nei padiglioni di Germania, Svizzera, Azerbaigian, Paesi Bassi, Belgio e Argentina è più immediata la valorizzazione di pratiche moderne di utilizzo delle colture, con l’alternanza di foreste a campi coltivati nella stessa area, il ricorso alla coltivazione idroponica o a sistemi all’avanguardia in grado di nutrire le piante grazie all’energia prodotta dai pesci in vasche appositamente collegate.
La sostenibilità è un concetto molto presente anche nei cluster, padiglioni collettivi in cui i paesi sono raggruppati per identità tematiche e filiere alimentari. Tra essi troviamo il cluster del cacao, del riso, del caffè, dei cereali e tuberi, dell’ambiente bio-mediterraneo e delle zone aride: qui troviamo spazi appositamente ideati per la condivisione e all’interazione con i visitatori, che risentono meno della promozione a carattere “nazionale” che ogni paese fa del proprio padiglione.
In definitiva, l’impressione generale che si coglie dai primi giorni di Expo è sicuramente quella di un evento dalle dimensioni importanti, con un afflusso di gente che continua ad aumentare, nonostante le percentuali alquanto al di sotto delle aspettative iniziali. Ogni giorno migliaia di persone calcano le strade del sito, affollando gli ingressi ai padiglioni e meravigliandosi della notevole diversità di forme, colori e strategie di comunicazione.
Nel corso di sei mesi, Expo avrà sicuramente molte occasioni per far parlare di sé, con la speranza che sia in chiave ogni volta più positiva. Un evento di tali dimensioni cela ovviamente molti lati oscuri, come ben sappiamo, ma con un po’ di impegno credo sia possibile fomentare pian piano quel messaggio per cui, almeno ufficialmente, è stato ideato e realizzato.