Riforma del Senato e conflitto d’interessi
Superato, almeno per adesso, il tormentone della Legge elettorale, l’attenzione si è spostata su due temi, indipendenti tra loro nella sostanza, ma politicamente collegati: riforma del Senato e conflitto d’interessi. Non è difficile immaginare che su ambedue ci sarà battaglia tra Governo e opposizione (anche interna), nel secondo caso specie con Forza Italia, che si schiererà a difesa del padre-padrone.
La riforma del Senato è necessaria per superare il bicameralismo perfetto, che non esiste in nessun altro Paese europeo e provoca ritardi e complicazioni nell’attività legislativa, inconveniente serio quando si tratta, ad esempio, di fiducia al Governo o di leggi finanziarie, e insolubile quando ci sono maggioranze diverse nei due rami del Parlamento. Il requisito essenziale è però che le funzioni delle due Camere siano chiaramente separate, salvo per alcuni temi che devono rimanere condivisi: elezione del Presidente della Repubblica, norme sull’ordinamento dello Stato e degli Enti locali, ratifica dei trattati internazionali che incidono sull’attività e gli interessi di questi ultimi, questioni che attengono ai diritti civili e alle libertà individuali, eventualmente dichiarazione dello stato di guerra. Per tutto il resto, deve valere la natura del Senato come sede della rappresentanza degli interessi locali; non ha senso definirlo federale, perché l’Italia non è una federazione, ma la sostanza è questa. Altra ragione, secondaria ma non poi tanto, sta nel ridurre il numero dei parlamentari e quindi il costo della politica.
La riforma, per essere utile, deve essere diretta quindi a raggiungere i due obiettivi. Il testo all’esame centra in pieno il secondo, riducendo il numero dei senatori a cento. Il testo che definisce le competenze è invece, come minimo, perfettibile. Il punto debole della Legge sta però nell’elezione dei senatori da parte dei Consigli Regionali. Ciò avviene in Germania (che però è uno Stato federale in cui i “lander” hanno funzioni e poteri territoriali alquanto estesi), ma non in Francia, Spagna, Belgio e dovunque altro in Europa esista una seconda Camera, o Camera alta (in Gran Bretagna, lo sappiamo, questa è di composizione in minima parte ereditaria, per il resto su designazione vitalizia da parte del Governo). L’inconveniente del sistema attualmente previsto è che mette la composizione del Senato di fatto in mano ai partiti e diminuisce di molto il prestigio di una Camera che, nelle questioni di propria competenza, deve avere dignità pari a quella dei Deputati. Poiché si tratta di una riforma delicata, che attiene alla vita istituzionale del Paese, è augurabile che questa volta il Governo, tenendo fermi gli obiettivi essenziali, eviti nuove prove di forza, si apra al dialogo, non solo con l’opposizione interna al PD ma con le parti esterne, nell’intento di giungere a un testo che sia allo stesso tempo chiaro, efficace e condiviso.
Il conflitto d’interessi è stato definito dal Ministro Boschi come prioritario. L’urgenza è stata, non del tutto a torto, contestata dall’opposizione di centro-destra, visto che la questione si agita da almeno venti anni, ed è inevitabile che il tema sia visto in chiave pro o contro Berlusconi. Ma il problema c’è e, aggiungo, esiste soltanto in Italia. In qualsiasi altro Paese democratico, esistono norme chiare che lo regolano e sarebbe impensabile che il titolare di un servizio pubblico, che per di più controlla buona parte dell’informazione giornalistica e televisiva, assuma incarichi politici (negli Stati Uniti vige addirittura l’istituto del “blind trust” a cui si sottopongono anche i titolari di interessi patrimoniali o finanziari senza carattere pubblico, ma all’attività pubblica in qualche modo, anche remoto, legati).
È un tema delicato, che riguarda la democrazia e, direi, la stessa civiltà, e va perciò trattato in modo sereno e senza proporsi crociate unipersonali. Berlusconi è un fenomeno ormai in via di passaggio e il male, se male c’è stato, è largamente avvenuto. Guardiamo finalmente al di là di lui, per esaminare il problema nella sua sostanza, che non ha tempo. Le elezioni non sono, o non dovrebbero essere, per domani, per cui c’è tempo di discuterne compiutamente, senza però finire nei soliti eterni rinvii. L’ideale sarebbe tuttavia di giungere a norme che siano comprese e accettate dalla società civile, compresa quella che si orienta al centro-destra, perché si tratta di un problema che riguarda il nocciolo della vita democratica e domani un conflitto d’interessi potrebbe anche essere “a sinistra” (vedi ad esempio il caso De Benedetti). Anche perché altrimenti si rischia che una nuova e diversa maggioranza sia portata a modificare le norme che saranno approvate. Un’ultima avvertenza: le norme dovranno essere chiare e non consentire facili scappatoie (com’è accaduto per quelle finora vigenti, attraverso le quali Berlusconi è passato come un pesciolino). Niente trucchi, niente finte cessioni di proprietà che lasciano le cose come erano. Siamo seri, una volta tanto! Eliminiamo alla fine, e davvero, un’altra delle anomalie italiane.