Pakistan, minoranze disprezzate
Un doppio attentato suicida avvenuto davanti ad una Chiesa all’uscita della messa ha causato la morte di un’ottantina di persone, domenica scorsa in Pakistan. Secondo le autorità locali è stato uno degli attacchi più sanguinari degli ultimi tempi e il più feroce commesso contro la minoranza cristiana.
Due attacchi perpetrati da kamikaze e rivendicati da una fazione del Movimento dei Talebani Pakistani (TTP) che hanno preso di mira la Chiesa di Ognissanti di Peshawar, la città principale della Provincia del Khyber, nel Nord Ovest del Paese. Il Ministro dell’Interno pachistano, Chaudhry Nisar Ali Khan ha confermato che i morti erano 78 e che 11 tra più di 100 feriti erano in gravi situazioni. Il Junood ul-Hifsa, una fazione del TTP ha rivendicato in una telefonata all’agenzia francese AFP la paternità dell’attentato. “Siamo gli autori degli attacchi suicidi avvenuti davanti alla Chiesa di Peshawar e continueremo a colpire gli stranieri non musulmani fino a che gli attacchi con droni non finiranno”, ha dichiarato Ahmad Marwat, un portavoce di questo gruppo che aveva rivendicato in Giugno la morte di 10 alpinisti stranieri sul Nanaga Parbat, la seconda cima più alta del Pakistan dopo il K2. Cominciati nel 2004, gli attacchi con droni americani hanno fatto nel Nord del Pakistan tra i 2000 e i 3500 morti, principalmente insorti, ma anche numerosi civili, come si evince dalla documentazione delle diverse organizzazioni straniere che monitorano questa crisi. Questi attacchi hanno sempre suscitato molte critiche in Pakistan, ma gli Stati Uniti li considerano come un aspetto vitale della loro lotta contro i talebani e i combattenti di Al Qaeda nelle zone tribali frontaliere dell’Afghanistan. Il Nord Ovest del Pakistan è la roccaforte di numerosi gruppi ribelli islamici, tra i quali il TTP, alleati di Al Qaeda e responsabili di numerosi attacchi sudicia che hanno causato la morte di 6000 persone dal 2007 e regolarmente insanguinato Peahawar.
I cristiani, che rappresentano il 2% della popolazione del Pakistan, Paese di 180 milioni di abitanti al 95% musulmani, sono talvolta vittime di violenze, ma molto raramente. Questa minoranza che conta 3 milioni di persone, soffre soprattutto per il disprezzo che gli dimostra il resto del Pakistan: malgrado l’ottima reputazione delle scuole cristiane (nelle quali transitano molti non cristiani), la comunità viene relegata alla pulizia delle strade e alla raccolta dell’immondizia. Un modo di fare ben radicato nelle mentalità: in Pakistan un cristiano viene chiamato choori, un termine che è quasi un insulto che si utilizza per designare “colui il cui lavoro è pulire i bagni”. E i rari cristiani che riesco ad ottenere un lavoro “prestigioso” vengono comunque chiamati choori. Solitamente quelli che vengono presi di mira sono gli sciiti (20% della popolazione) e gli Ahmadi, giudicati “infedeli” dagli estremisti sunniti talebani. I matrimoni tra musulmani sciiti e sunniti è visto malissimo e spesso la comunità viene attaccata da estremisti sunniti , come nel Gennaio e Febbraio del 2013 quando due attentati a Quetta, nel Sud Ovest del Paese, avevano causato la morte di 170 persone. Ma è la setta musulmana degli Ahmadi la cui sorte è meno invidiabile: a loro è stato vietato definirsi “musulmani” e numerose denunce per blasfemia vengono fatte nei loro confronti, denunce che spesso arrivando all’arresto. “Oggi in Pakistan, per una cattiva scelta, o per una scelta di odio e di guerra, 70 persone sono morte (un bilancio precedente, ndr): questa strada non è quella giusta, non serve a nulla”, ha detto Papa Francesco alla fine della sua visita pastorale in Sardegna. Ma nessun cambiamento sembra vedersi all’orizzonte. Se è vero che diversi scranni sono riservati alle minoranze nelle diverse assemblee del Paese, sono i Partiti che vincono quegli scranni a distribuirli, così i deputati che provengono dalle minoranze e che accettano quei posti diventano di fatto schiavi dei Partiti. Conseguenza: anche se “eletti”, non possono difendere i loro diritti. La comunità cristiana è vittima di violenze che nascono spesso da accuse di blasfemia. La legge anti-blasfemia in vigore in Pakistan è spesso utilizzata a proprio uso e consumo, per risolvere diatribe private che non hanno nulla a che vedere con la religione. Lo scorso Marzo per esempio, un villaggio intero di cristiani alla periferia di Lahore è stato bruciato dopo “voci” di atti blasfemi, in realtà l’obbiettivo era rubare loro le terre. Il Caso Asia Bibi aveva qualche anno fa colpito l’opinione pubblica: questa cristiana era stata condannata a morte nel 2010 per blasfemia (oggi è in prigione) e il Ministro federale per le Minoranze era stato assassinato dai talebani pachistani per avergli dato il suo sostegno. All’epoca era l’unico deputato cristiano in Parlamento. Aveva anche appoggiato i cristiani di Gojra, una città dell’Est del Paese i cui abitanti, presi di mira ancora una volta per blasfemia, erano stati bersaglio di scontri: otto persone erano state bruciate vive nelle loro case.
Il Primo Ministro pachistano Nawaz Sharif, il cui Governo ha recentemente proposto dei negoziati di pace al TTP, ha fermamente condannato questo doppio attentato. “I terroristi non hanno religione, e prendere di mira degli innocenti è contrario ai principi dell’Islam e qualsiasi altra religione”, ha tenuto a dichiarare. Le violenze interconfessionali sono aumentate negli ultimi anni in Pakistan. L’attacco di Domenica scorsa mostra un’escalation nelle violenze che colpiscono i cristiani, che fino ad ora avevano più “subito” psicologicamente che fisicamente. Ancora una volta terrorismo, anti-americanismo e lotte intestine fra “fratelli” si intersecano in una tela che sembra impossibile districare.
A margine, la guerra con l’Afghanistan e i tentativi di negoziare la pace: Islamabad ha liberato il numero due della ribellione afghana, Abdul Ghani Baradar, secondo solo al Mullah Omar. L’Afghanistan spera che questo gesto permetterà di convincere gli insorti a negoziare la Pace da qui al ritiro delle truppe NATO il prossimo anno. Finora il rilascio di “ribelli” non ha portato a nulla, dei 33 liberati dal Pakistan dal Novembre del 2012 nessuno ha raggiunto l’Alto Consiglio per la Pace, l’istituzione afghana incaricata di rilanciare il dialogo tra le parti. Anzi, molti di loro hanno ripreso le armi: Sisifo con il suo macigno e la sua montagna da scalare sembrano un’impresa meno ardua da affrontare.
Solo poche ore fa un altro attentato. Due bombe sono esplose fuori da un commissariato di Peshawar, causando la morte di altre 33 persone. Per ora, non è ancora stato rivendicato, fatto sta che in Pakistan la scia di sangue non si ferma.
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