Gli insulti sui Social ora costano caro
Una recente sentenza della Cassazione è destinata a fare giurisprudenza. La Suprema Corte si è infatti pronunciata sul caso di una coppia di coniugi romani, che indirettamente aveva coinvolto il social network più popolare in Italia: Facebook. Dopo tre anni di matrimonio e un figlio, nel 2010 la donna querelò il marito, colpevole secondo lei di aver pubblicato alcuni post e commenti dal contenuto diffamatorio.
Il procedimento finì dinnanzi alla Corte Suprema perché il Giudice di Pace, interpellato all’inizio della vicenda giudiziaria, non era ritenuto competente in materia e si era pertanto rimesso al Tribunale di Roma, che com’è noto può comminare pene più gravi rispetto alle sanzioni pecuniarie. Non contento il marito sollevò il conflitto di competenza e la palla passò in ultima battuta alla Cassazione.
A distanza di cinque anni è stata finalmente emessa sentenza, che punisce la diffamazione aggravata per mezzo di Facebook con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. Secondo le motivazioni espresse, la gravità del reato è data dal mezzo della pubblicità, che inevitabilmente espone le denigrazioni a una platea potenzialmente più ampia. L’ex marito ha così commentato: “È una sentenza che non condivido ma che ovviamente rispetto. Rimane il dubbio che nei processi per reati commessi su internet sfuggano ancora, talvolta, le reali dinamiche della rete. Soltanto quando leggeremo le motivazioni sapremo qual è stato il percorso logico giuridico seguito dalla Cassazione”.
La sentenza colma un vuoto normativo dell’ordinamento giudiziario italiano e in tal senso costituisce un precedente perché va a disciplinare il delicato tema della #WebViolence, ovvero della violenza (verbale e psicologica) perpetrata online e in particolare sui social networks. Si tratta di ambienti digitali, dove molte persone sono convinte che nascondersi dietro all’anonimato di uno schermo basti già di per sé a giustificare le loro “sparate”. Le più note sono forse quelle di Maurizio Gasparri, senatore di centrodestra, che adesso rischia una multa di 516 euro o nella peggiore delle ipotesi fino a sei mesi di reclusione per aver insultato il ricercatore di economia Riccardo Puglisi su Twitter. I fatti risalgono all’estate di due anni, quando tra un cinguettio e l’altro l’esponente di Forza Italia aveva apostrofato il suo interlocutore con l’epiteto di “ignorante e presuntuoso”.