Cronache dai Palazzi
Le Regionali rubano la scena alle riforme. “Se vinciamo come penso cambia anche il Pd”, afferma Matteo Renzi che continua a puntare su un 6 a 1. Nelle ultime ore il premier si è comunque convinto che anche un 4-3 rappresenterebbe “una vittoria per il governo”. In una prospettiva ovviamente diversa il 4 a 3 è caldeggiato anche da Silvio Berlusconi – che spera di assicurarsi Veneto, Campania e Liguria – dopodiché “questo signore va a casa. Non le elezioni, non noi, ma i suoi amici di sinistra all’interno del Partito democratico lo manderebbero a casa”, afferma dal palco di Perugia il presidente di Forza Italia puntando il dito sul segretario-premier. Matteo Salvini, infine, si autoproclama lo “sfidante” del premier. “Saremo il primo partito alternativo a Renzi – annuncia il leader del Carroccio – non mi tiro indietro”.
In definitiva Berlusconi non cela le difficoltà del centrodestra che soffre di gravi emorragie – “purtroppo la situazione attuale del centrodestra disorienta molti nostri anche antichi elettori”, ammette Berlusconi – ma l’imperativo è non mollare. Secondo l’ex premier in un futuro non troppo lontano occorrerà costruire un “grande movimento di tutti i moderati in vista delle prossime elezioni politiche”. Berlusconi rimette in gioco il “grande contenitore sul modello dei Repubblicani americani”, spiegando di avere due anni per farlo perché “prima del 2018 non si tornerà al voto”. Ma tornando alle Regionali “possono avere un grande effetto politico per il nostro Paese”.
I due leader sperano in pratica di consolidare le proprie posizioni, chi da una parte chi dall’altra, e soprattutto ognuno mira a rottamare l’avversario. Renzi definisce ormai terminato il tempo berlusconiano mentre Berlusconi sottolinea che “cambiare si deve”. Il leader di Forza Italia, inoltre, tira ancora in ballo i temi europei e afferma che “l’euro è una buona idea gestita male e l’Europa non può continuare ad aggravare i nostri problemi invece di risolverli”. In sostanza comunque anche per Palazzo Chigi l’Europa non può “tirare a campare”, bensì deve “affrontare con determinazione le nuove sfide: ripristinare il potenziale di crescita, favorire una crescita sostenuta fonte di occupazione in un contesto macroeconomico stabile e ricostruire il rapporto tra le istituzioni europee e i cittadini europei”.
Battibecchi estenuanti che in definitiva non aggiungono niente di nuovo a questa ennesima campagna elettorale combattuta, ancora una volta, all’interno dei talk televisivi. È chiaro come Renzi cerchi lo scontro con i diversi leader nazionali trasformando il voto regionale in un palco dal quale rivendicare il proprio status di rottamatore, in particolare di colui che finalmente sta cambiando l’Italia, rivendicando il fallimento di coloro che non sono riusciti a realizzare le loro “belle idee”, primo fra tutti l’ex Cavaliere. Un eventuale risultato positivo darebbe inoltre il la alla fase due del governo Renzi, secondo il quale il ritorno in tv di Silvio Berlusconi potrebbe incoraggiare gli elettori di sinistra a non disertare le urne, prevenendo così un astensionismo troppo pronunciato.
Per il ministro Boschi “in ogni caso l’esito non influenzerà il futuro del governo” mentre il vicesegretario Lorenzo Guerini rispondendo alle provocazioni di Berlusconi – l’invito a dimettersi rivolto a Renzi qualora perda le elezioni – afferma: “Consiglierei a Berlusconi maggiore prudenza e di guardare cosa farà lui, visto che dopo il voto Forza Italia rischia di diventare un’astrazione”.
Per Renzi il primo passo da fare dopo un eventuale risultato soddisfacente alle Regionali sarebbe inoltre una riflessione politica per modificare lo Statuto interno del Pd. Il premier-segretario prevede un seminario sul tema con l’obiettivo di introdurre regole di funzionamento del movimento più efficienti e più veloci, in pratica adatte ad un partito che nel 2018 mira a “governare da solo”. Per Renzi e il suo team è necessario favorire l’adozione rapida delle decisioni rivedendo in primo luogo il principio di maggioranza, una manovra che avrebbe ovvie ricadute sulla vita parlamentare. Per ora si tratta però solo di riflessioni e di ipotesi di lavoro che scorrono parallele al disegno di legge sui partiti che il Pd presenterà in Parlamento. Personalità giuridica e controllo della magistratura sono i due binari fondamentali sui quali si muove il ddl che dovrebbe rendere tutti i partiti più moderni e più trasparenti.
“Sento parlare di impresentabili ma sulla legalità non prendiamo lezioni da nessuno”, sottolinea comunque Matteo Renzi fronteggiando l’affaire De Luca. La candidatura dell’ex sindaco di Salerno ha creato non pochi problemi all’interno dei vertici del Pd ma in definitiva Renzi definisce “superabile”, per quanto riguarda De Luca, “il problema della legge Severino” che prevede la sospensione d’ufficio per chi, come il candidato dem in Campania, ha subito anche una lieve condanna di primo grado. Per Renzi De Luca “è candidabile e eleggibile, dopo di che sono i campani a dover decidere”. Il governo deciderà il da farsi solo dopo un eventuale insediamento e a Palazzo Chigi è già stato studiato da un team di esperti e legali uno specifico iter amministrativo che garantirà la formazione della giunta regionale.
Nel contempo il premier da Perugia lancia il nuovo slogan delle “tre L”: “legalità, lavoro, leggerezza” per “far ripartire l’Italia”, rimarcando la riforma del lavoro, il famigerato Jobs Act, “la cosa più di sinistra fatta negli ultimi anni”. In questo contesto non mancano le polemiche con i sindacati – che per il governo andrebbero “rottamati” facendo spazio ad un “sindacato unico” – e l’appello di Confindustria affinché il governo metta “ordine nelle regole della contrattazione”. Dall’Expò di Milano, disertato da Matteo Renzi, il presidente degli industriali, Giorgio Squinzi, apre virtualmente un tavolo di discussione con i sindacati, con l’obiettivo di rigenerare il linguaggio del negoziato. In sostanza occorre abbandonare l’alfabeto tradizionale per scriverne uno nuovo che valorizzi le esperienze di dialogo, di responsabilizzazione e partecipazione.
Nella sua ultima assemblea annuale da presidente degli industriali, Giorgio Squinzi apre inoltre a “soluzioni innovative in azienda” e per la prima volta nell’ambiente di Confidustria viene data risalto al welfare aziendale, definito “il terreno più sfidante delle moderne relazioni industriali”.
Tutto ciò 48 ore dopo l’ammonimento che il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, aveva pronunciato rivolgendosi proprio al sistema delle imprese e facendo pressione sul governo affinché acceleri sulle riforme e non trascuri la revisione dei conti pubblici. È necessario ad esempio “accorciare i tempi di recupero dei crediti” e quindi sollecitare un intervento di riforma sulla legge fallimentare.
Dallo stabilimento Fiat Chrysler di Melfi Renzi ribadisce, in particolare, che “Il lavoro non si crea partecipando ai talk show” e, tantomeno, partecipando a “certe assemblee” – come quella di Confindustria – per le quali il premier dichiara di non essere portato. Al di là delle polemiche sul Jobs Act, quindi, “per difendere il lavoro si creano le fabbriche e qui lo abbiamo visto”, sottolinea il premier nello stabilimento automobilistico affiancato dal manager Marchionne che sembra appoggiare anche l’idea di Renzi del “sindacato unico” come in America e in Germania: “Mi sembrano democrazie che funzionano perfettamente”, sottolinea Marchionne apprezzando nel contempo “le riforme di Renzi”.
In definitiva “l’attività innovativa in Italia è meno intensa che negli altri principali Paesi avanzati, soprattutto nel settore privato” e per uscire dal guado occorre investire ma per investire occorre un po’ di fiducia in più, fiducia dei mercati ma anche nella politica. È qui il vero punto di frattura che nemmeno una rottamazione totale sarà in grado di ricucire se prima di tutto non crescerà sostanzialmente il numero degli occupati, nonostante le “buone notizie” dispensate dall’esecutivo sull’aumento dei posti di lavoro.
L’astensionismo marcato, che come sottolinea il Censis caratterizza le esperienze elettorali degli ultimi anni – negli ultimi cinque anni, in particolare, le percentuali dei votanti sono calate del 17 per cento, dall’81 al 64 -, è il rischio più temuto anche per queste Regionali. Infine in un’atmosfera caotica e fumosa, tra presentabili e non, il Movimento dei pentastellati spera come sempre di guadagnare dei voti sfruttando le contraddizioni interne ai partiti.