Cuba, è ora di dare aria agli armadi

L’Avana – Appena si arriva all’aeroporto internazionale José Marti, si capta subito l´essenza cubana. L’aeroporto è un grande capannone con ridenti poltroncine rosse che si percorre in pochi minuti;  la prima realtà è il chi sei tu, una telenovela dove solerti funzionari, tutti almeno in grado di parlare due lingue, ti fanno il controllo passaporto e visto con scanner dell´occhio.

Le file sono convulse, qua e là si muovono figure non ben definite, quasi tutte donne con un badge attaccato a petti generosi, che portano secondo una disposizione interna (ma interna solo a loro), persone cariche di bagagli e che riescono a superare le file, attorniati da un alone di importanza e bestemmie del resto del mondo. Ma va tutto bene, si sopporta, tanta è la gioia di aver superato 11 ore di aereo, cibo interpretabile e equipaggio al limite dello scatto isterico.

Dopo aver superato il controllo, c’è quello del metal detector; e fino a li siamo nella norma. La meraviglia di questo posto è il nastro dei bagagli (parlo al singolare perché´ è uno solo e al massimo, nei periodi di punta, due) che sforna una valigia al minuto. Sono ormai diverse volte che affronto questa avventura e non ho mai preso il mio bagaglio in tempi decenti. Penso che anche se l´aereo appena atterrato aveva 400 passeggeri e quindi almeno 400 valigie, gli omini addetti a lanciarle sul nastro sono solo in due e le valigie arrivano attese come spose all´altare e ci si fa coraggio a vicenda, guardando sconsolati il nastro cigolante.  ​

Una volta preso il bagaglio, sfiniti da viaggio, controlli, attese e calore, succede qualcosa che mi fa venire in mente la roulette russa. All´uscita una fila di gente affolla il niente da dichiarare, e affronta l´occhio vigile di una virago che ritira un foglio dove tu hai giurato di non aver nel bagaglio bombe a mano, lanciafiamme, ricotta, prosciutto etc. tutto non necessariamente in quest´ordine e che ti scruta per vedere in te un possibile contrabbandiere. Di solito colpisce i locali, ben sapendo che a Cuba non si trova quasi nulla e che quindi chi rientra a suo modo è obbligato a contrabbandare beni di prima necessità.

Quando leggo dei cambiamenti, dell’apertura agli americani, delle leggi per lo sviluppo economico, degli incentivi, penso che prima di tutto a Cuba sarà necessario rifare il look dal basso, formando generazioni di lavoratori assolutamente incompetenti. Sarà quello il primo passo prima ancora di altre leggi. Se si vuole il futuro, bisogna dare aria agli armadi e svecchiare sistemi conclamati ma obsoleti. Staremo a vedere e speriamo di non rimpiangere nulla.

©Futuro Europa®

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