Spiagge, cantiere infinito
Che siamo nell’Antropocene, cioè l’era geologica in cui è l’uomo il principale artefice dei mutamenti ambientali, lo si capisce, per esempio, dall’erosione delle spiagge. Un fenomeno che avviene in modo meno semplice di quanto siamo abituati a pensare. Per esempio, l’erosione è in parte dovuta alla natura, perché un avanzamento o un allontanamento della battigia di qualche metro tra una stagione e l’altra è ‘fisiologico’.
Ma questa ‘erosione’ stagionale non scatenerebbe allarmi se non minacciasse lungomari, villette e strutture balneari che sono stati follemente costruiti a pochi metri dalla riva. Allarmi che quindi fanno rima con quelli della neve a Natale e del caldo a Ferragosto. Poi è vero che l’uomo provoca l’erosione con opere generiche, come le dighe fluviali quando non vengono periodicamente aperte per lasciare passare il limo che ricostituisce naturalmente le spiagge; e le preziose sabbie fluviali finiscono ‘cavate’ lungo il letto dei fiumi a vantaggio dei cantieri edili. Poi, ancora, l’uomo provoca erosione con la costruzione di moli portuali o di foce, che essendo perpendicolari alla costa bloccano lo scorrimento in acqua della sabbia in direzione parallela alla battigia, e quindi la ricostituzione delle spiagge in base al mirabile processo naturale che ha reso così belle e ricche di vita le coste italiane. Ma quello che non si è abituati a pensare, e sul quale una certa economia vince giocando un effetto sorpresa nei confronti della logica e del buon senso diffusi, è che, come testimonia ormai una lunga serie di studi, in molti casi l’erosione è dovuta proprio alle opere anti-erosione. Spesso infatti le opere di ‘difesa’ in un punto della costa generano erosione nelle aree adiacenti, creando con un effetto-domino l’occasione per costruire nuove opere di ‘difesa’ secondo un meccanismo presumibilmente non ignoto all’ingegneria civile. E’ così che, ad esempio, tutta la costa adriatica dal Veneto al Molise è stata trasformata negli ultimi cinquant’anni in un gigantesco susseguirsi di opere a mare e nuovi cantieri. Fino all’attuale, vera e propria ‘dipendenza’ dai ripascimenti, come dimostra una breve navigazione sui social o l’esasperata vertenza tra Regione Emilia Romagna e Palazzo Chigi per i fondi per il ripascimento del litorale locale. E ora anche il Tirreno è sotto minaccia. Al punto che secondo il rapporto ‘Lo Stato di salute dei litorali italiani’, curato da Enzo Pranzini dell’Università di Firenze, che ad oggi è il quadro più aggiornato a livello nazionale, già nel 2006 il 42% delle spiagge italiane era ormai in erosione. E si può dire che, di chilometro in chilometro, non c’è in pratica un metro della costa italiana che non sia stato o non possa essere a breve modificato negativamente.
Ma i cantieri per ‘difesa’ e ripascimento costiero si rigenerano anche in un altro modo: quando per ricostituire una spiaggia si preleva sabbia nei fondali a largo e la si riversa sulla battigia, si fa come quei bambini che sul bagnasciuga costruiscono il castello di sabbia con sabbia scavata tra il castello stesso e l’acqua: e il castello scivola giù, e lo si deve ricostruire di nuovo. Lo stesso accade per le spiagge, secondo un altro meccanismo presumibilmente non ignoto agli addetti ai lavori. Ed è’ anche così che i lavori costieri si riproducono all’infinito.
Un problema. A fare il punto sui progetti passati e futuri è il dossier di Legambiente ‘Spiagge Indifese’, presentato in occasione della operazione Spiagge e Fondali puliti – Clean up the Med – che Legambiente ha realizzato tra il 22 ed il 24 maggio in collaborazione con Cial, Novamont, Mareblu e Virosac. Regione per Regione, sono state realizzate e sono in cantiere opere faraoniche, immense e onerose opere infrastrutturali, con numeri da capogiro: il progetto di artificializzazione di 30 chilometri di costa nel Golfo di Salerno prevede ad esempio la costruzione di 42 ‘pennelli’ e una serie di barriere rigide, con il prelievo di 1.200.000 tonnellate di materiale da cave a terra e 75.000 viaggi di camion per il trasporto. E l’intervento sulle spiagge di Ostia, litorale di Roma. previsto quest’anno dalla Regione Lazio, prevede la costruzione di barriere su 4 km di costa, per 5 milioni di euro. Opere che rischiano di far passare la giustificazione economicistica sul buon senso, sulla bellezza dei paesaggi e persino sulla naturale autodifesa delle coste come uno schiacciasassi su un deposito di conchiglie.
“Obiettivo delle iniziative sui territori e dell’impegno dei circoli di Legambiente – ha spiegato Giorgio Zampetti, responsabile scientifico dell’associazione – è avviare una radicale riqualificazione dell’esistente e progettare e realizzare opere di adattamento dell’erosione costiera, a partire dalla salvaguardia dei sistemi dunali, calibrate secondo le precise necessità. Continueremo a impegnarci nel contestare l’errata pianificazione di alcuni progetti di difesa dei litorali e a lavorare per l’adozione di un approccio integrato e complessivo di riqualificazione della costa, come concreta e duratura azione per la tutela delle spiagge”. Intanto, varrebbe la pena di cominciare a fotografare metro per metro lunghe spiagge e calette prima e dopo la ‘cura’, pubblicando sui social i ‘diari delle metamorfosi’ delle coste italiane: per conservare memoria di com’era il nostro mare e per ricordare come e perché è stato modificato. Non dall’Uomo, ma da alcuni: perché l’Antropocene, che tocchi con i suoi tragici pasticci le spiagge italiane o il clima mondiale, è opera, ricordiamolo bene, solo di alcuni.
[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]