Regionali, una settimana dopo
Le scosse politiche per le regionali quasi non si sentono più. Dopo la fine dei ballottaggi per le comunali, con il sole dell’estate, le polemiche e le bagarre finiranno al mare. A distanza di una settimana dal voto, ovviamente, è stato detto e scritto tutto e il contrario di tutto. Non c’è stata una rivoluzione, il Pd è sempre il partito più votato, ma il centrodestra mantiene due Regioni, anzi una la perde, la Campania, ma la rimpiazza con la Liguria. In Veneto il governatore riconfermato, Luca Zaia, ha umiliato Alessandra Moretti, prendendo più del doppio dei voti. E qui non c’era alcun candidato Pd che ha tradito, giusto per introdurre la questione ligure. C’era il sindaco di Verona, Flavio Tosi, ma la sua è stata una sua corsa in solitaria.
In Liguria vince Giovanni Toti, appoggiato dalla Lega. Informazione non secondaria perché il partito di Salvini esce rafforzato dalle urne, ponendosi di fatto come la prima forza all’interno del centrodestra. Il consigliere politico di Berlusconi strappa la Regione che fu di Burlando al Pd che, però, si è presentato diviso. “Ora al lavoro per iniziative comuni su lavoro, welfare, infrastrutture e giovani”, ha scritto il governatore lombardo, Roberto Maroni, su Twitter per congratularsi con il collega Toti. Ecco il primo asse, Milano-Genova: il centrodestra può ripartire da qui.
In Veneto non c’è mai stata gara. La Lega sfiora il 18 per cento, Forza Italia non raggiunge il sei. Questi dati sono un po’ l’emblema dei rapporti di forza che cambiano all’interno di un centrodestra che ad oggi non esiste. Matteo Salvini continua a sostenere che se si votasse domani “la Lega correrebbe da sola”. Silvio Berlusconi sa che il suo partito è in disfacimento, l’ultima dipartita, quella di Raffaele Fitto, ha acuito un risultato negativo in Puglia, facendolo di fatto diventare una disfatta. Da una parte, quindi, gli azzurri e la Lega cercano di trovare un punto d’incontro e provano a disegnare il centro destra del futuro, con la consapevolezza che i numeri dei lumbard vogliono dire più destra che centro, in questo momento.
Dall’altra parte, quella di sinistra, il Pd si prepara ad una sorta di resa dei conti. Il Partito democratico ha vinto in cinque regioni su sette, praticamente i risultati sono gli stessi di cinque anni fa. Ma è innegabile che la vittoria di Vincenzo De Luca in Campania, con uno scarto minimo nei confronti del presidente uscente, Stefano Caldoro, piuttosto che far venire voglia di festeggiare rischia di provare un gran mal di testa. L’ex sindaco di Salerno era finito nella lista nera degli impresentabili redatta dalla Commissione antimafia di Rosy Bindi. Solite scaramucce tra la minoranza dem e la classe dirigente renziana. De Luca, però, ha vinto. E ora? “Il tempo delle leggi ad personam è finito. Noi non le facciamo”, così Matteo Renzi esclude che il governo cambierà la legge Severino a favore del governatore campano. “C’è una contraddizione della quale il Pd deve farsi carico”.
Una contraddizione da risolvere perché Renzi sa benissimo che fuori dal Pd “c’è Salvini e il centrodestra” e che “per essere un argine all’antipolitica” occorre darsi una mossa. Magari ripartendo dalla riforma sulla scuola, da rivedere perché “se abbiamo sbagliato cambieremo”.