Ici la côte, chiuso per ferie
Talvolta, accade che un grave problema generi unità d’intenti fra tutte le parti interessate. L’esodo ininterrotto di migliaia di profughi, incapaci di provvedere alle proprie necessità, sembra non rientrare in questa casistica, trasformandosi, piuttosto, per ogni singolo paese investito, anche il più avanzato e organizzato, in autentica emergenza sociale.
Il nostro è un paese sensibile ai drammi umanitari, ma anche florido di stridenti contraddizioni. Non bisogna sorprendersi più di tanto se, ad esempio, accanto a gesti d’ammirevole generosità, convivono la rapacità e il cinismo di chi trae illecito profitto dalle disgrazie altrui, gestendo centri d’accoglienza inesorabilmente finiti sotto la lente d’ingrandimento della magistratura. La verità, pura e semplice, ma non per questo meno vera, è che siamo il risultato di una concezione statuale che non contempla programmazione a lungo termine, né un ruolo da protagonisti nel mondo, sempre chini a rimirare l’imperante provincialismo, l’eccessiva burocratizzazione e la congenita mentalità da “furbetti del quartierino”, note caratteriali che compromettono credibilità e visione strategica in troppi settori di vitale importanza. Abbiamo molte colpe, dalla base al vertice, ma ce n’è una, veramente insopportabile, che le batte tutte e sopprime ogni residuo di quella dignità e amor proprio, che uno Stato deve sempre e comunque alla sua gente: il farsi trattare da ultima ruota del carro sul piano internazionale. Non è ancora determinabile quanto peso Bruxelles dia realmente ai nostri rappresentanti, ma, da qualche tempo, tutte le volte che partono per la capitale belga col coltello fra i denti, se ne tornano a orecchie basse col bravo compitino da svolgere tra le mura domestiche.
Abbiamo cantato vittoria, per aver promosso la discussione europea sulla ripartizione in quote dei migranti tra i membri dell’Unione, ma troppo presto. È stato un bello spot elettorale per il governo Renzi e il PD in generale; tuttavia, nel frattempo, i partner che contano facevano marcia indietro. E’ con indignazione che lo Stato italiano ha accolto la notizia della chiusura del confine italo-francese, presso Ventimiglia, da parte della gendarmeria transalpina. I cugini d’Oltralpe hanno pensato bene di sbarrare il passo ai migranti, senza dubbio sbarcati sui nostri litorali, ma diretti – e con tanto di biglietto ferroviario già pagato – in Francia, per ricongiungersi con i parenti colà residenti. Un centinaio, la maggior parte eritrei, somali e sudanesi, da giorni inscenano proteste per poter proseguire il viaggio e dormono all’addiaccio sugli scogli di Ponte San Ludovico. Qualcuno di loro è stato fermato in territorio francese e rispedito in Italia, con metodi che il Movimento 5 Stelle non s’è attardato a definire prossimi alla deportazione. Giungono voci di paesini di frontiera sottoposti a “rastrellamenti” e la polemica monta di giorno in giorno. Esagerazioni o no, si accusa la Francia socialista di Hollande, quella del “Libertè-Egalitè-Fraternitè”, di non essere molto diversa dalla Francia conservatrice che, sotto Sarkozy, inviò per prima aerei da caccia Mirage sui cieli libici, per disintegrarne la stabilità politica e destituire Gheddafi, dando così la stura all’odierna guerra civile e al fenomeno della migrazione di massa verso il meridione d’Europa.
Si contesta ai francesi di non gradire la volontà dei migranti di non farsi identificare in Italia, terra considerata di solo transito verso altri Stati europei, e di aver sospeso temporaneamente, per proprio comodo e senza particolari remore, l’osservanza degli accordi di Schengen. La replica avviene tramite un alto funzionario della prefettura, con la precisazione che non vi è stata alcuna sospensione, dato che il traffico transfrontaliero non ha subito interruzioni, ma che si è solo disposto il ripristino del servizio di controllo fisso sulla linea di confine con l’Italia, per impedire ingressi irregolari nel pieno rispetto degli accordi di Dublino, nei quali si stabilisce il principio che il profugo vada gestito nel paese europeo d’arrivo.
Le italiche reazioni? Matteo Renzi dichiara come la distribuzione di soli 24.000 profughi tra i membri dell’Unione, in rapporto alla stima dei 500.000 in arrivo, sia poco più d’una barzelletta e ammonisce che, in caso di mancato ascolto delle istanze italiane, avrebbe già in tasca un piano B, dai contenuti tuttora segreti. B come bluff? Probabile che si tratti di soluzioni alternative da adottare unilateralmente nell’ipotesi di mancanza di appoggi comunitari, scenario più che realistico dopo l’inevitabile presa d’atto dell’intransigenza dei maggiori leader europei in tema d’accoglimento. Nel frattempo, il Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, promette all’Europa un’Italia molto diversa da quella sempre disponibile a cavar le castagne dal fuoco a beneficio di tutti, se nei prossimi incontri non troverà un’Unione pronta a impegnarsi, col necessario spirito di solidarietà, in uno sforzo congiunto di maggiore e significativa entità. Come da copione, il suo omologo francese, Bernard Cazeneuve, intervistato da Le Monde, rispedisce al mittente ogni considerazione e insiste sul fatto che l’Italia debba farsi carico dei profughi accolti, istituendo centri gestiti dall’UE che distinguano i migranti economici irregolari dai rifugiati richiedenti asilo politico, in modo da consentire l’espulsione immediata dei primi verso i paesi d’origine e la successiva ricollocazione dei secondi tra i membri dell’Unione.
Tanto è discutibile l’atteggiamento del governo francese sulla vicenda, quanto invidiabile la risolutezza con cui esprime le proprie posizioni, nonostante il rischio di inaugurare una stagione di nuove diatribe e malumori tra gli inquilini di Casa Europa.