Verso un Mercato Comune Africano
Ventisei Paesi dell’Africa orientale hanno firmato, mercoledì 10 Giugno a Charm el-Cheikh, un trattato di libero scambio che per ora coinvolgerà la metà orientale del Continente. E’ un’ulteriore tappa del lungo cammino verso l’integrazione economica di una cinquantina di Paesi molto diversi tra loro per livello di sviluppo.
Ci sono voluti cinque anni di negoziati per arrivare alla creazione del “Tripartito”, una zona di libero scambio che si estende dal Capo, in Sudafrica, al Cairo, in Egitto. Il Trattato di libero scambio tripartito (TFTA) è il risultato del raggruppamento di tre regioni economiche di cui nessuna ha ancora completato la sua integrazione: il COMESA, Mercato Comune degli Stati dell’Africa Australe e dell’Est, l’EAC (Comunità dell’Africa Orientale) e la SADC (Comunità di sviluppo dell’Africa australe). I tre blocchi sono molto eterogenei, comprendendo Paesi molto poveri e altri ricchi o dal forte potenziale di crescita. Dal Capo al Cairo, secondo il motto del politico e magnate minerario britannico Cecil Rhodes, il “Tripartito” aggrega ormai il Sudafrica e l’Egitto, due economie tra le più sviluppate del Continente, così come Paesi dinamici quali l’Etiopia o il Kenya. Ma non la Nigeria, primo PIL dell’Africa, soprattutto grazie al petrolio. I 26 Paesi del “Tripartito” rappresentano insieme 625mila abitanti e hanno un PIL globale di 900miliardi di Euro. Il Trattato di libero scambio prevede la creazione di tariffe doganali preferenziali e l’eliminazione delle barriere non tariffarie,essendo il protezionismo di ogni Paese uno dei freni maggiori alla circolazione delle merci. Il testo deve armonizzare le politiche commerciali. La scommessa a termine dei Paesi firmatari di questo accordo è quella di un aumento tra il 20 e il 30% degli scambi commerciali tra i Paesi membri di questo spazio. La riuscita dell’idea di libero scambio dipenderà anche da quella del Nepad, il Nuovo partenariato per lo sviluppo dell’Africa, che prevede soprattutto la costruzione di strade, ferrovie e altre vie di comunicazione per favorire il commercio inter-continentale. Dopo la firma del Trattato di Charm el-Cheikh, i 26 Paesi membri della nuova zona di libero scambio hanno una anno per ratificarlo.
Tra i Paesi che potrebbero trarre maggior profitto da questo trattato c’è l’Etiopia, che spera approfittare di questo Mercato Comune africano per diventare esportatore di zucchero, di tessili e scarpe, le cui fabbriche si stanno rapidamente sviluppando. L’Etiopia fa già parte dei Paesi più “dinamici” dell’Africa Orientale. Grazie ad investimenti massicci, Addis Abeba ha mostrato una notevole crescita negli ultimi cinque anni: più del 10% l’anno, la più forte del Continente. Ma da un anno a questa parte, questa crescita sta lentamente scemando posizionandosi intorno al 7%. I dirigenti etiopi sanno che devono sviluppare il settore privato per riprendere il trend degli ultimi anni, e questo trattato di libero scambio deve teoricamente permettere di far cadere ogni barriera burocratica che soffoca ancora oggi l’economia etiope. Tutti gli uomini d’affari si lamentano delle difficoltà nell’esportare e nell’importare da questo ex Paese comunista, molto protezionista e gli economisti dubitano che il trattato sia sufficiente a vincere la reticenza ancora viva in seno al regime nell’aprire la sua economia.
Un potenziale “peso morto” economico parte del nuovo spazio economico è il Sudafrica dove la nascita del “Tripartito” suscita molte speranze e bramosie, soprattutto perché la minaccia di recessione plana da tempo sul Paese. Per il Sudafrica, uno dei Paesi più sviluppati del Continente, il mercato africano è sinonimo di opportunità economiche sempre più grandi.” Per il Sudafrica, è un accordo cruciale. Il Sudafrica ha sistematicamente intensificato i suoi scambi con l’Africa, che è passata davanti all’Europa in termini di esportazioni. E’ la seconda zona di scambi commerciali dopo l’Asia, per il Sudafrica”, puntualizza l’economista Kevin Lings, che da molto tempo analizza l’economia sudafricana. “Molti Paesi africani sono in piena crescita e, per il Sudafrica, è diventato più semplice fare impresa con loro”. E le imprese sudafricane questo lo hanno capito bene, secondo Dennis Dyke, capo economista alla Nedbank, che definisce questa firma un “successo”. “Abbiamo visto le compagnie sudafricane aprire sedi in tutta l’Africa e hanno guadagnato molto nel farlo”, spiega l’economista, convinto che questo movimento, che ha coinvolto sia il settore bancario, che la distribuzione o il settore delle costruzioni, abbia “aiutato lo sviluppo di molti Paesi”. Secondo l’economista, anche il settore automobilistico potrebbe beneficiare della liberalizzazione degli scambi in Africa. “Ma una delle sfide maggiori è lo sviluppo delle industrie locali, affinché diventino veramente competitive”. Il Trattato di libero scambio, secondo gli economisti africani dovrebbe anche dare impulso alla cooperazione industriale.
Anche in Ruanda il “Tripartito” è atteso con ansia, soprattutto per spingere la sua uscita dall’isolamento. Per gli esperti locali l’’integrazione regionale è la migliore soluzione per un Paese come il Ruanda, sempre in corsa nella ricerca di nuovi mercati e che è ben integrato nella zona economica dell’Africa Orientale. Il Paese è geograficamente emarginato, il fatto che faccia parte di un gruppo allargato non può che portare risultati positivi al Paese. Il settore privato conta sui suoi “vantaggi competitivi” per attirare gli investimenti esterni e con questo Trattato si punta a cambiare l’immagine del Ruanda nello spirito degli uomini d’affari che auspicano che il Ruanda non sia più visto come “Ruanda”, ma come “una regione della macroregione fatta di 26 Paesi”.
Il compito che si sono dati gli Stati firmatari di questo importante Trattato non è dei più semplici, soprattutto perché le economie dei Paesi membri sono molto eterogenee. Inoltre, lo sdoganamento dei prodotti in Africa richiede molto tempo, molti documenti e molti soldi passati sottobanco. Infine, i Paesi africani hanno poca dimestichezza nel fare affari tra di loro. Solo il 12% degli scambi commerciali internazionali avviene tra Paesi del Continente, quando questa proporzione raggiunge il 55% in Asia e il 70% in Europa. Un fenomeno che può essere spiegato per la settorializzazione dei Paesi africani, che esportano soprattutto materie prime utilizzate dalle industrie occidentali o cinesi, e importano prodotti finiti da queste stesse destinazioni. Il Trattato si colloca nella dinamica mondiale di costituzione, più o meno fortunata, di grandi zone di libero scambio, dove beni e servizi vengono scambiati senza diritti di dogana, in Sudamerica (Mercosur) e nel Pacifico (TTP), anche se in realtà solo due di loro sono veramente operativi: l’Unione Europea con un PIL di 18mila miliardi di dollari e l’ALENA (Stati Uniti, Canada, Messico), 21mila miliardi.
Quello lanciato è un messaggio forte, che dimostra quanto l’Africa tenga alla sua integrazione economica e a creare un ambiente favorevole agli scambi commerciali e agli investimenti. E chissà, creare così anche un ambiente favorevole anche alla pacificazione sociale e al benessere dei suoi abitanti. Un messaggio forte che dovrebbe colpire anche gli animi che muovono il carrozzone UE.