Cronache dai Palazzi
Voto di fiducia anche per la “Buona scuola”. Il maxiemendamento riesce comunque a superare le barricate di Palazzo Madama e la riforma dal 7 luglio passerà alla Camera per la terza e ultima lettura. In Aula al Senato la tensione è stata altissima. I senatori pentastellati hanno inscenato il funerale della scuola pubblica – trasformata “nell’orribile copia di un’azienda, con un preside manager che si sceglie gli insegnanti e si fa la scuola come piace a lui” – mentre fuori dal Palazzo gli insegnanti manifestavano, anche loro, duramente il loro dissenso. Anche i sindacati non hanno usato mezzi termini: il voto di fiducia è “una pessima notizia per la scuola italiana”, ha dichiarato Susanna Camusso rimarcando la mancanza di un “confronto sulla riforma”.
Si tratta di una riforma senza dubbio sofferta, nonostante l’esultanza del governo che dichiara: “Ce l’abbiamo fatta”. Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini difende infatti i punti salienti della riforma, quali l’autonomia completa e la valutazione nella scuola definito “un elemento qualificante”, mentre Angelino Alfano twitta: “Ok sostegno a paritarie, libertà educativa, no a teorie gender”.
I circa 100 mila precari dovrebbero essere assunti giuridicamente dal 1 settembre 2015 ma concretamente solo poco più della metà avrà subito una cattedra. Altri 48 mila rappresenteranno invece un organico funzionale o di potenziamento destinato a colmare le carenze e ad arricchire l’offerta formativa. Contro l’ostilità dei 5 Stelle, il governo assicura che i suddetti insegnanti siederanno in cattedra entro ottobre.
Un altro punto del ddl ampiamente contestato si riferisce al super preside, al preside “sceriffo”, “dittatore”, “manager”: sono varie le locuzioni utilizzate negli ultimi mesi per definire il nuovo ruolo del dirigente scolastico incaricato di selezionare direttamente gli insegnanti del proprio istituto su “chiamata diretta”. Di fatto l’istituzione di un comitato di valutazione stempera il ruolo del preside “sceriffo” che sarà egli stesso valutato da ispettori esterni. L’Associazione nazionale presidi contesta comunque la valutazione professionale affidata, tra gli altri, ai genitori che dovrebbero essere due in ogni comitato. Negli istituti superiori, in particolare, ci saranno uno studente e un genitore.
Il ddl prevede inoltre lo stanziamento di circa 3 miliardi di euro come finanziamento aggiuntivo destinato all’istruzione. In particolare 300 milioni sono a disposizione per la costruzione di scuole “green” e dotate di nuovi ambienti di apprendimento digitali, mentre altri 200 milioni serviranno per costruire e ristrutturare. Potenziata infine l’alternanza scuola-lavoro, anche per far fronte alla dura situazione dei Neet (giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano): 400 ore di stage nell’ultimo triennio degli istituti tecnici e dei professionali, 200 nei licei. Le esperienze di lavoro saranno concrete, supportate da uno stanziamento di 100 milioni l’anno, mentre un registro nazionale renderà visibili enti e imprese disponibili ad accogliere i giovani.
Per finire l’insegnamento della teoria gender nelle scuole, punto ampiamente contestato dai senatori di Area popolare. Ancor prima della fiducia, il governo ha assicurato che la promozione dell’educazione “alla parità dei sessi e la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni” non nasconde “trappole”. In pratica la teoria sulle differenze di genere non sarà affidata ad attività scolastiche extracurriculari, che dovranno in ogni modo essere autorizzate dai genitori.
L’esecutivo comunque arranca. “Fatichiamo a comunicare i risultati del governo”, ammettono da Palazzo Chigi. Il presidente del Consiglio avverte le difficoltà del momento e, nonostante giochi costantemente sulla difensiva, percepisce la perdita di consenso che potrebbe manifestarsi come un macigno nel prossimo test elettorale: le Comunali del 2016 a Milano, Torino, Napoli, Bologna “e forse anche a Roma”, come egli stesso dice, dove gli scandali legati all’inchiesta Mafia Capitale hanno affievolito le forze dem.
L’altra palla al piede è l’affaire De Luca in Campania, dato che da segretario del Pd Renzi ha sottoscritto la candidatura dell’ex sindaco di Salerno e ora, da presidente del Consiglio, deve necessariamente assumersi la responsabilità di intervenire, magari per decreto, in modo da sospendere De Luca subito dopo il suo insediamento. La comunicazione dell’operazione al Paese sarà anche quella una partita difficile e l’obiettivo è evitare il pasticcio mediatico, prevenendo un eventuale ricaduta elettorale.
In pratica l’accusa che rimbomba a Palazzo Chigi è quella di usare un doppio criterio di giudizio, uno per gli alleati e l’altro per gli avversari. Per di più De Luca è ricevuto a Palazzo Chigi per essere ascoltato. “Abuso di ufficio” del premier, gridano da Forza Italia che chiede alla Procura di intervenire subito. In verità per l’esecutivo, costretto a districarsi tra riforma della scuola, immigrati, sentenza della Consulta sul pubblico impiego, la Campania passa in secondo piano e la regione potrebbe essere governata come se niente fosse accaduto, o quasi.
Nel frattempo le paure degli italiani aumentano e accanto alla crisi economica compaiono l’immigrazione e il terrorismo islamico. Da un sondaggio realizzato da Ipsos per Rai News-Ispi con 997 interviste tra il 23 e il 24 giugno 2015 emergono, in particolare, giudizi alquanto negativi sul tema immigrazione sia nei confronti della politica italiana (74%), sia nei confronti dell’operato del governo Renzi in Europa (66%). Il 32% è convinto che il premier non sia in grado “di dettare una linea comune”, mentre il 34% contesta addirittura che “non tuteli l’interesse nazionale”. La paura traspare in particolare da quel 39% per cui bisognerebbe “trattenere e identificare gli immigrati nei Paesi di partenza”.