Camera di Consiglio
Risarcimento danni per omissione del consenso informato da parte del medico – Il caso: una paziente lamentava che l’intervento per l’asportazione di una cisti ovarica destra e per il quale aveva prestato il consenso, si era esteso, d’iniziativa del chirurgo e durante la sua esecuzione, ad una laparatomia, una isterectomia totale, una annessiectomia bilaterale, una appendicectomia ed omentectomia, in quanto dall’esame istologico, svolto durante l’intervento, era risultata una diagnosi di presenza di un adenocarcinoma, presenza poi confermata da successivi esami bioptici. La paziente deduceva che, a seguito di successivi accertamenti svolti in altre strutture, la diagnosi sarebbe stata di tumore benigno e, quindi, l’intervento demolitorio, per il quale non aveva prestato consenso, si sarebbe potuto evitare.
Sia in primo che in secondo grado la domanda risarcitoria veniva rigettata sostenendo i Giudici che, avendo la consulenza d’ufficio medica svolta accertato la necessità dell’intervento demolitorio, esso sarebbe stato risolutivo per la salute della paziente, per cui non era ipotizzabile alcun danno neppure per l’assenza del consenso informato. La controversia è approdata avanti alla Cassazione la quale, riformando la sentenza di appello, ha riconosciuto la possibile sussistenza di un diritto risarcitorio per il solo fatto che il consenso informato non sia stato prestato, a nulla rilevando, se non come conseguenza, il fatto che l’intervento sia stato correttamente eseguito e risolutivo per la patologia esistente. Andiamo con ordine.
Premesso che è diritto del paziente essere informato sul tipo di intervento che il medico intende eseguire sulla sua persona e che è sempre diritto del paziente prestare o meno il consenso a detto intervento, è evidente che l’omissione da parte del medico di richiedere il consenso informato costituisce di per sé una violazione della libertà di autodeterminazione e come tale fonte di un danno risarcibile. Pertanto il “danno evento”, secondo i Giudici di legittimità, esiste sempre quanto sia avvenuta la condotta omissiva relativa al mancato consenso informato, seguita dalla condotta commissiva dell’esecuzione dell’intervento chirurgico senza preventivo consenso.
Più delicato è l’aspetto del “danno conseguenza” che è il c.d. danno emergente e lucro cessante, cioè la perdita economica e/o il mancato guadagno conseguenti al comportamento illecito contrattuale o extracontrattuale. Sotto tale profilo è necessario considerare le conseguenze che l’omessa informativa hanno comportato sulle condizioni psico-fisiche del paziente, il quale, se opportunamente reso edotto delle modalità dell’intervento, avrebbe potuto decidere se farlo o meno, anche mettendo a rischio la propria salute, o, soprattutto, se rivolgersi altrove. Quindi, un primo “danno conseguenza” è proprio la privazione della libertà del paziente di decidere se e con chi effettuare l’intervento.
Ulteriore aspetto è quello della sofferenza e della contrazione della libertà di disporre del proprio corpo nel corso dell’intervento e, successivamente, durante la convalescenza. Inoltre è da considerare la vera e propria conseguenza sull’integrità fisica dell’intervento demolitivo, ciò indipendentemente dalla necessità terapeutica dello stesso, integrità che non può essere intaccata se non a seguito del consenso del paziente stesso. Infine e non da ultimo è il vero e proprio danno alla salute nel caso in cui l’intervento, a seguito dell’autodeterminazione del paziente correttamente informato, si fosse potuto svolgere con modalità meno demolitive, anche, eventualmente, in diverse strutture, o con modalità che avrebbero semplicemente creato minori sofferenze.
Va certamente apprezzato lo sforzo della Suprema Corte volto ad attribuire all’autodeterminazione del paziente quel giusto valore idoneo ad evitare comportamenti superficiali in relazione al consenso informato di chi svolge la professione medica, certo è che necessario appare un grande equilibrio sul punto per coordinare il detto diritto di autodeterminazione con la tutela della salute del paziente, consentendo al medico quelle valutazioni, in condizioni di emergenza, più razionali ed idonee dal punto di vista terapeutico, evitando che una eccessiva rigidità porti a conseguenze ineccepibili dal punto di vista di protocollo, ma che, poi, potrebbero avere effetti negativi sulla salute del paziente.
[NdR – L’autore dell’articolo, avvocato, è membro del “Progetto Mediazione” del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma]