Istruzione in UE, servono più insegnanti e formazione
L’Unione Europea dedica un ampio settore delle proprie risorse finanziarie al monitoraggio dei sistemi educativi dei paesi membri, per valutare lo stato di salute delle scuole e del proprio corpo docente. Uno degli obiettivi principali è quello di evidenziare le pratiche didattiche maggiormente innovative, le cosiddette best practices che indicano in quali regioni europee gli insegnanti ottengono migliori risultati nel rendimento dei propri studenti.
Nelle scorse settimane sono stati pubblicati due studi ufficiali sull’insegnamento in Europa, che forniscono una visione aggiornata delle condizioni di lavoro dei docenti e la loro formazione professionale. La prima ricerca, dal titolo La professione dell’insegnamento in Europa: pratiche, percezioni e politiche è realizzata da Eurydice, la rete UE che fornisce statistiche sui sistemi scolastici di 37 paesi dell’area europea, con il compito di descriverne differenze e analogie su specifiche tematiche. Tale studio, in particolare, ha messo in luce le attuali condizioni di lavoro degli insegnanti, le modalità in cui i docenti vengono formati e se si tratta ancora oggi di una scelta professionale attraente nei prossimi decenni.
Il secondo studio, Le pratiche di insegnamento nella scuola primaria e secondaria in Europa: approfondimento su larga scala della valutazione dell’istruzione è stato realizzato dal CRELL, il centro della Commissione UE per la ricerca sull’istruzione e l’apprendimento permanente; esplorando fattori chiave quali i risultati scolastici individuali e la dimensione delle classi, offre una descrizione approfondita dei diversi contesti di apprendimento per cogliere l’essenza degli approcci didattici più efficaci. L’analisi è inoltre focalizzata sul grado di collaborazione tra insegnanti per migliorare il proprio metodo di insegnamento.
Tra le conclusioni offerte dalle due ricerche, si osserva che attualmente l’insegnamento interessa maggiormente le donne: la percentuale di uomini è inferiore a un terzo (32.2%), e si pensa che nel prossimo futuro si registrino carenze di personale. Tuttavia, il 94% degli insegnanti intervistati si dichiara abbastanza soddisfatto del proprio lavoro, mostrando il desiderio di voler crescere professionalmente (24%), soprattutto riguardo all’apprendimento di nuove tecniche di insegnamento. Si evince inoltre come sia abbastanza diffusa la condivisione di idee ed esperienze per migliorare la didattica, ma molto poco si fa per favorire il lavoro condiviso tra insegnanti e classi diverse.
In merito alla formazione dei docenti alla prima esperienza, in circa due terzi dei paesi europei si ha accesso a un periodo di pratica strutturato col supporto di un tutor, che dura circa un anno; in realtà solo in sei paesi europei il 60% dei nuovi docenti vi ha partecipato, e spesso il contenuto del training non soddisfa pienamente le aspettative dei nuovi insegnanti. La mobilità professionale è un altro aspetto da migliorare: se infatti il programma Erasmus+ è il principale strumento per consentire esperienze di lavoro all’estero, attualmente solo un insegnante su quattro ha vissuto in un altro paese UE (27.4%): solitamente si tratta solo di viaggi di istruzione per accompagnare i propri studenti. Solo i docenti di lingue straniere alzano la media (uno su due), per motivi strettamente legati alla materia di studio.
La Commissione UE ha così raccolto delle indicazioni sulle proprie politiche future, tra cui il miglioramento delle opportunità di carriera e delle condizioni di lavoro, per rendere più attraente la professione dell’insegnamento e attrarre nuovi talenti; prioritario sarà anche il miglioramento della formazione di base, bilanciando meglio le necessità pedagogiche e culturali con la pratica scolastica. La mobilità e la presenza di più reti di condivisione, sia virtuali che fisiche, dovrà contribuire a una cultura scolastica più incentrata alla cooperazione tra docenti.