Obama e Castro verso il disgelo

Dopo oltre 50 anni, Barack Obama compie un passo rilevante verso l’interruzione dell’isolamento imposto a Cuba dalle amministrazioni dei presidenti Eisenhower e Kennedy, succedutesi nel lontano 1961, a causa del suo ingresso nell’orbita del comunismo sovietico e della confisca dei beni americani nell’isola, fattori che, all’epoca, originarono una profonda crisi culminata nella drammatica e fallimentare operazione statunitense della Baia dei Porci e nell’inevitabile rottura dei rapporti fra i due paesi, tuttora in essere.

Obama punta alla ripresa delle relazioni diplomatiche e lo fa con atto formale, una lettera recapitata a Raul Castro contenente la richiesta di riapertura delle rispettive ambasciate a Washington e all’Avana entro il prossimo 20 luglio. Alla missiva, consegnata personalmente dal diplomatico Jeffrey De Laurentis al ministro degli Esteri cubano ad interim Marcelino Medina, ha fatto seguito il riscontro positivo di Castro.

Obama ha dato annuncio del ritrovato dialogo nella conferenza stampa pomeridiana del 1 luglio scorso, dal giardino delle rose della Casa Bianca. Pur rimarcando l’intercorrente differenza di valori, come, ad esempio, in tema di libertà d’espressione, ha apertamente dichiarato la disponibilità degli Usa a rimuovere i residui di un passato – quello della guerra fredda – da consegnare alla storia, per ripristinare un leale ed equilibrato rapporto di vicinanza. Dal canto suo, Raul Castro ha confermato come Cuba viaggi nella stessa direzione, assumendo, quali riferimenti ispiratori in materia di tutela dei diritti e delle libertà dell’uomo, i principi della Carta delle Nazioni Unite.

La via verso il disgelo si snoda lungo un graduale processo di riavvicinamento, avviato con colloqui riservati, grazie anche alla mediazione di Papa Francesco nel 2013; un cammino di progressive aperture e concessioni, culminato poi nell’importante tappa del maggio scorso in cui si registrava, con annuncio del Dipartimento di Stato, la cancellazione di Cuba dalla lista nera degli sponsor del terrorismo internazionale, in cui il paese caraibico era stato incluso nel 1982.

La rimozione dall’elenco ha rappresentato una pietra angolare verso quella ricostruzione del dialogo diplomatico di cui siamo oggi testimoni, che potrebbe inaugurare, come ci si auspica fra le parti, una stagione d’insperata collaborazione su materie di comune interesse, quali l’antiterrorismo, i disastri naturali, lo sviluppo, e che proietta – in nome della distensione – i due paesi verso la successiva meta finale: l’abrogazione dell’embargo che deprime, da decenni, l’economia e gli scambi commerciali dell’isola. Non è, infatti, un segreto, che Obama intenda far crollare anche questa ultima barriera, consentendo una totale interazione tra i due popoli e permettendo nuovamente agli americani di viaggiare e investire a Cuba. La volontà della Casa Bianca è chiara, ma non può prescindere dalle decisioni del Congresso, cui spetta l’ultima parola. Obama dovrà, perciò, confrontarsi con le resistenze dei parlamentari repubblicani e della lobby degli esuli cubani; a favore, le stime di Josh Earnest, suo portavoce, il quale afferma che, in seno al Congresso, sull’obiettivo della revoca dell’embargo vi sia già un forte sostegno.

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