Il nome del figlio (Film, 2015)

Il cinema italiano non riesce neppure a essere originale. Due sceneggiatori come Francesca Archibugi e Francesco Piccolo devono sfruttare un soggetto francese (Le Prénom di Alexandre De la Patelliére e Matthieu Delaporte), dal quale era già stata tratta la commedia Cena tra amici (2012) per realizzare un film. Significa che siamo proprio alla frutta. Non ho idee e allora che faccio? Copio. Meglio non fare che imitare, soprattutto quando la copia è peggiore dell’originale.

Vediamo la trama. Paolo Pontecorvo (Gassmann) è un agente immobiliare rozzo e incolto sposato con la bella Simona (Ramazzotti), una scrittrice che si fa confezionare i romanzi dagli editor, come spesso accade nella realtà italiana.  Paolo va a cena a casa della sorella Betta (Golino) e del cognato intellettuale Sandro (Lo Cascio) dove incontra anche Claudio (Papaleo), un amico più vecchio che ha una relazione con la madre. Durante la cena comincia un dibattito sul nome da assegnare al nascituro, perché Paolo e Simona avrebbero scelto Benito, ma il cognato – intellettuale di sinistra – la sorella e l’amico Claudio – un artista raffinato – non reagiscono bene. Dal nome che ricorda un passato infausto si passa alle idee politiche con una messa in discussione totale di valori tradizionali e piccolo borghesi. Quel che viene fuori è una sorta di Parenti serpenti contemporaneo con familiari e amici che covano vecchi segreti, vivendo di odi e rancori mai sopiti. La nascita del bambino – che è femmina e avrà il nome della madre (Lucia) – sembra rimettere ordine negli affetti, ristabilendo ruoli e amicizie consolidate nel tempo.

La cosa migliore de Il nome del figlio è la costruzione in flashback con poetici piani sequenza che riportano l’azione ai luoghi dell’infanzia in un alternarsi continuo di piani temporali. Per il resto una commedia teatrale, girata in interni, che risente del testo francese scritto per il palcoscenico e che vive il momento più originale mentre scorrono le note di Telefonami tra vent’anni di Lucio Dalla. Archibugi e Piccolo scelgono un motivetto metaforico per raccontare i cambiamenti in negativo dei protagonisti e la caduta delle illusioni giovanili. Una commedia amara basata su personaggi caricaturali e grotteschi con un Gassmann troppo rozzo, una Ramazzotti troppo superficiale, un Lo Cascio troppo intellettuale, una Golino troppo nevrotica. Insomma, si rischia di cadere nel bozzettismo e nella macchietta, tra situazioni fumettistiche, citazioni colte e abbondanza di luoghi comuni. Programmatico e scritto per dimostrare una tesi, un lavoro abbastanza inutile che tenta di descrivere il vuoto dei rapporti contemporanei. Purtroppo Pasolini è lontano mille miglia dalla filosofia di Piccolo e la Archibugi pare aver smarrito la strada dei film migliori. Quel che resta è noia, direbbe Califano, ma anche un po’ d’imbarazzo.

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Regia: Francesca Archibugi. Soggetto: Alexandre de La Patellière, Matthieu Delaporte. Sceneggiatura. Francesca Archibugi, Francesco Piccolo. Fotografia: Fabio Cianchetti. Montaggio: Esmeralda Calabria. Scenografia: Alessandro Vannucci. Costumi: Alessandro Lai. Produttori: Andrea Occhipinti, Paolo Virzì. Interpreti: Alessandro Gassmann, Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, Rocco Papaleo, Micaela Ramazzotti, Giulia Salerno, Tommaso Strizzi, Raffele Vannoli, Daniele Rampello, Carolina Cetroli, Andrea Amato.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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