Meglio tardi che mai (Film, 1999)
Meglio tardi che mai è uno strano prodotto firmato Luca Manfredi (Roma, 1958), regista televisivo figlio del grande Nino, autore degli spot pubblicitari Lavazza e di Un commissario a Roma, aiuto regista cinematografico con pochi lavori al suo attivo (Grazie di tutto, 1998). Strano perché si tratta di un’opera modesta da un punto di vista strettamente cinematografico, ma tutto sommato di un buon prodotto televisivo, perché un television-movie girato in buona parte a Cuba, coprodotto da ICAIC con un intera troupe caraibica, non è facile da reperire nei palinsesti RAI.
Luca Manfredi, ex marito di Nancy Brilli fino al 2012 (la coppia ha un figlio), utilizza spesso la bionda attrice come interprete, in alcuni casi al fianco del padre, che pure in questa pellicola si ritaglia un ruolo da protagonista senza risultare invadente. Si sente la voce di Manfredi, la sua presenza aleggia sullo sfondo, ma le pose davanti alla macchina da presa si contano sulle dita di una mano. La sua presenza conferisce valore al film, come Nancy Brilli è attrice di buona esperienza dotata di grande espressività. Non altrettanto posiamo dire di Bruno Wolkovitch, poco partecipe in un ruolo che sarebbe stato interessante affidare a un attore cubano (Perugorria? Vladimir Cruz?).
Vediamo la trama. Chiara (Brilli) è una donna affascinante figlia di una ricca famiglia romana. Il padre Antonio (Manfredi) e il marito Lorenz (Molinari) lavorano nell’impresa familiare gestita dall’autoritaria madre Emma (Occhini). La vita monotona e alto borghese di Chiara cambia quando il padre fugge a Cuba con trecento milioni di liquidazione. La figlia decide di andare ai Caraibi per cercarlo e si fa aiutare da un detective sentimentale come Jean Martini (Wolkovitch), un francese che vive a Cuba insieme al figlio adottivo Pepé. La parte migliore del film si svolge dal momento in cui Chiara sbarca al José Martí dell’Avana, non tanto per la descrizione della vita insulare (del tutto assente), quanto per un’ottima fotografia tropicale (da cartolina turistica, chiaro) e per una stupenda colonna sonora a base di boleri e son tradizionale.
La storia è vista e rivista, prende le mosse da un vecchio film di Ettore Scola (Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?, del 1968), dove Manfredi interpreta lo stesso personaggio in fuga dal mondo e dalla famiglia, ma soprattutto è sceneggiata senza un briciolo di suspense. Inevitabile che il padre resti a Cuba e che anche la figlia – innamorata del bel detective – decida di tornare sull’isola e di compiere identica scelta. Luca Manfredi perde un’ottima occasione per fare vero cinema, si limita al compitino prefissato di sceneggiare una telenovela vendibile anche sul mercato caraibico. La partecipazione di ICAIC – Ente cinematografico cubano – poteva portare il beneficio di attori validi residenti in loco, ma a parte il bambino e qualche comparsa non se ne vedono. Abbondanza di luoghi comuni: l’embargo colpevole di ogni nefandezza, Cuba non ha bisogno di detective perché non esistono delinquenti, in compenso è solidale persino nel dividere le abitazioni.
Luca Manfredi ci descrive una Cuba sognata, dispensa pennellate di ottimismo, evita di riprendere quartieri marginali e di affrontare i veri problemi. Non era compito suo, certo, ma un film che è costato diversi milioni di lire grida vendetta per la superficialità con cui affronta la descrizione della vita all’ombra del comunismo tropicale. La pellicola passa da un taglio teatrale di cui gode la parte ambientata a Roma, con un incipit alla Aspettando Godot, a riprese stile telenovela nella coloratissima – e musicalmente interessante – parte cubana. Le citazioni da Hemingway (Il vecchio e il mare) si sprecano, mentre molti luoghi avaneri vengono inseriti per creare interesse turistico: l’hotel Ambos mundos, la Bodeguita, El Floridita, Centro Havana, il porto, la casa di Hemingway… Il colore locale è la parte migliore della pellicola, tra auto d’epoca e donne affacciate ai balconi, il cronico ritardo dei cubani, i black-out energetici (che non riguardavano i grandi alberghi!), molta musica d’epoca (Besame mucho, El cuarto de Tula, Dos gardenias, Mandinga…).
Meglio tardi che mai è un fotoromanzo superficiale che gode di un’ottima scenografia cubana, una storia che evita di approfondire la realtà, basata su una modesta sceneggiatura, lineare e prevedibile, che in ogni caso si segue con piacere ed è perfetta per una serata in cui non si ha voglia di pensare.
. . .
Regia: Luca Manfredi. Soggetto e Sceneggiatura: Luca Manfredi, Dido Castelli. Fotografia: Roberto Benvenuti. Montaggio: Roberto Missiroli, Costumi: Lina Nerli Taviani. Scenografia: Davide Bassan. Fonico: Marco Grillo. Casting: Roberta Manfredi. Musiche: Vittorio Cosma. Edizioni Musicali: Getar srl (Roma). Aiuto Regista: Paolo Marino. Assistente alla Regia: Francesca Vallarino. Operatore: Vincenzo Carpineta. Direttore di Produzione: Andrea Costantini. Produttore Rai: Carla Capotondi. Realizzazione: Maurizio Tini per Sidecar Films. Produzione: Maurizio Tini per Sidecar Films e TV, Rai Fiction, Productora Cinematografica ICAIC, France 2, 13 Productions. Distribuzione Internazionale: Rai Trade. Interpreti: Nancy Brilli, Nino Manfredi, Bruno Wolkovitch, Ilaria Occhini, Alberto Molinari, Cesare Bocci, Antonio Manzini, Cinzia Mascoli, Lola Pagnani, Bianca Galvan, Carlos Rafael Iarafa, Yordanka Paredes, Pedro Fernandez, Luigi Petrucci, Giorgio Colangeli, Annie Depardieu, Francesca Di Giovanni, Luisa Fattori, Rosangela Maria Da Silva, Stefano Molinari, Matteo Simone.
[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]