Spending Review, che fine ha fatto?
E’ noto a tutti che lo Stato italiano spende troppo e male. La necessità di mettere un argine allo spreco di denaro pubblico è apparsa alta, almeno a parole, fra le priorità dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Già nel 2007, l’allora ministro dell’Economia, Tommaso Padoa Schioppa, annunciò l’ennesimo avvio del progetto di ‘Spending Review’. Per ultimo, preceduto da una notevole esposizione mediatica, è arrivato l’incarico di Enrico Letta per Carlo Cottarelli, economista e funzionario del Fondo monetario internazionale.
Cottarelli è stato, per più di un anno, una figura pubblica di primo piano in Italia. L’economista, nominato dal governo Letta, è divenuto il paladino della nostra annosa lotta allo spreco di denaro pubblico. Ai giornalisti, che lo assediavano mentre a passo di carica andava in ufficio, rispondeva sibillino: “stiamo lavorando”. Cottarelli ha impostato uno studio capillare sulle principali voci della nostra spesa pubblica, mettendo all’opera 20 gruppi di lavoro. Uno sforzo enorme, interrotto quando, nell’ottobre 2014, dopo un anno di intenso lavoro, il funzionario del Fondo monetario internazionale ha, “per ragioni personali”, dato forfait dall’incarico ricevuto da Letta. Al suo posto sono andati il renziano Yoram Gutgeld e Roberto Perotti.
A lungo si è vociferato sui presunti dissapori fra il Commissario Carlo Cottarelli ed il premier Matteo Renzi. Dissapori che ne avrebbero accelerato le dimissioni. Poi, del progetto di Cottarelli non si è saputo più nulla. “Non avevamo idea di dove fosse”: questa è la spiegazione che il ministero dell’Economia e la Presidenza del Consiglio hanno fornito per spiegare la temporanea sparizione dei risultati della Spending review. Ci sono voluti più di dodici mesi, decine di richieste ufficiali e ufficiose e poi finalmente il dossier Cottarelli è stato pubblicato sul sito revisione della spesa.gov.it. In contemporanea è uscito “La lista della spesa – La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare”, un saggio che vuole fare chiarezza sulle storture che appesantiscono le casse dello Stato.
Le analisi dei tecnici, ora pubblicate online, riguardano ogni settore, ogni comparto e ogni rivolo di spesa pubblica e scendono nel dettaglio dei costi e dei possibili tagli da attuare nel breve, nel medio e nel lungo periodo. Alcune proposte, però, sono rimaste sulla carta. “Tre miliardi in tre anni sarebbero dovuti arrivare dalle cosiddette Pensioni d’oro. Si dice che per questo sia entrato in crisi il suo rapporto con Renzi. “Riproporrebbe oggi una misura così impopolare?” Gli è stato chiesto in un’intervista. “È chiaro che c’è stata la scelta politica di non incidere sulle pensioni. Il ruolo del Commissario è avanzare proposte. E io non potevo non farlo in un’area, le pensioni, che tocca i 270 miliardi. È una cifra semplicemente troppo grossa per ignorarla”.
La denuncia più forte all’interno del rapporto è quella che riguarda i finanziamenti nel mondo della politica: “Sono misteriosi e non accessibili molti dei flussi finanziari che rappresentano forme diverse di finanziamento del sistema della politica nel nostro Paese”. In questo campo, “l’esigenza della trasparenza e della massima fruibilità dei dati rappresenta ancora un obiettivo da raggiungere”.
Alcune voci dello studio di Cottarelli sono state utilizzate come base per l’azione legislativa (basti pensare alle centrali di acquisto, alla riforma dell’utilizzo degli immobili pubblici, alla mobilità o alla razionalizzazione dei corpi di polizia di cui si sta discutendo nella delega per la riforma della pubblica amministrazione). Nel tempo, inoltre, qualcosa ha iniziato a muoversi anche sul fronte delle partecipate, all’interno del decreto Madia sulla Pubblica amministrazione, anche se non si è vista l’incisività richiesta dal Commissario.
La riduzione delle auto blu, con tanto di norma applicativa, è in vigore ma di scarso impatto, se non simbolico. L’avvio dei fabbisogni standard per i trasferimenti ai Comuni è stato fatto, ma sui risparmi della politica molto resta da fare.