Il Principato di Monaco incontra Fausto Melotti
A Villa Paloma, la seconda esposizione dell’anno 2015 spetta a Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano, 1986), fino al 17 gennaio 2016, per la prima volta rappresentato nel Principato di Monaco. Con i suoi quattro piani di recente completamente restaurati, l’edificio costituisce assieme a Villa Sauber il Nouveau Musée National de Monaco (NMNM). Commissionata da Cristiano Raimondi, responsabile dello sviluppo e dei progetti internazionali dal 2009, e con la curatela di Eva Fabbris, il percorso analizza diacronicamente il rapporto tra il Maestro e la rivista Domus, fondata nel 1928 da Gio Ponti.
La prospettiva critica sviluppata all’interno di questa pubblicazione era basata su un’idea di continuità poetica. La pratica continuativa aveva fatto sì che la poesia acquisisse qualità critiche, in cui la stessa continuità empirica significava diacronia. Ogni articolo dedicato a Fausto Melotti presenta una conferma: la costante presenza di immagini di opere ascrivibili a periodi differenti. I lavori in mostra, per quanto recanti una datazione e risalenti a momenti diversi tra i due conflitti mondiali e durante il secondo dopoguerra, tentano di riconsegnare questa diacronia al visitatore.
Domus è stata il catalizzatore di relazioni interpersonali e creative, da Lisa Ponti e Ugo Mulas a Italo Calvino. Gli scatti in bianco e nero d’accompagnamento ai testi, talora scritti programmatici ad opera del nostro artista, testimoniano la collaborazione insostituibile con il fotografo Ugo Mulas. Numerosi estratti provenienti da una dozzina di numeri di Domus sono stati ristampati e resi disponibili alla consultazione. In proiezione, un’intervista video e parte di un documentario Rai sul Suo studio milanese in via Leopardi 26, che Gio Ponti spesso visitava con la figlia Lisa.
La conoscenza con Gio Ponti risale al 1930, anche se Melotti apparì su Domus non prima del 1948. L’esposizione presenta anche l’attività che precedette questo evento e le documentazioni editoriali cruciali che ne seguirono. In mostra, la quantità delle ceramiche – più di 70, realizzate dagli anni ’40 agli anni ’50 – supera di gran lunga quella delle sculture metalliche – all’incirca 20, quelle degli anni ’60 che attestano il ritorno al media giovanile. Difatti, potrà stupire, ma il Maestro originario di Rovereto, per necessità economiche e per il sostegno della critica, si dedicò maggiormente all’elaborazione di ceramiche, e solo negli anni ’60 la Sua produzione scultorea si aggiudicò l’adeguato riconoscimento.
Grazie all’allestimento progettato dallo studio Baukuh e dall’architetto Valter Scelsi, la Sala Cinque ospita ceramiche, tra funzionalità, fragilità e pigmenti brillanti. I pezzi di vasellame sono presentati su piani orizzontali e inclinati, e le placche smaltate sono disposte secondo una sistemazione a griglia. Possiamo notare la Sua grande capacità da decoratore, mentre nella serie Teatrini riprende, esplorandone nuove possibilità, alcune idee plastiche intuite negli anni ’30. Entro la cornice a scatola di gusto metafisico di Teatrini, vengono ambientate figurine che suggeriscono racconti, stati d’animo, metafore.
Tra le sculture in metallo, tra le altre, si incontrano La Barca e La Pioggia e le più metafisiche Metrò Natalizio, Il Circo, e Scultura A (Pendoli). Dotata di particolare carica scenografica e narrativa è La Pioggia del 1966, la materializzazione di un elemento della natura che Melotti-poeta si sorprende a contemplatore e a trascrivere sotto forma d’idillio. L’istante fenomenico e? un attimo di sospensione nella considerazione delle cose. Uno scròscio di segmenti metallici, come un cono di luce, si infrange sulla superficie terrestre, generando delle bolle che a ritmo sincopato rimbalzano.
In un articolo del 1962 su Domus dal titolo Sculture Astratte, Melotti dichiarava il ritorno “all’orfico mediterraneo imeneo della geometria con la poesia”: immagini di opere del 1935 venivano accostate alle recenti composizioni metalliche. L’Artista torna a credere nel potenziale rappresentato dalle sperimentazioni giovanili, rispolverandone modelli come Coerenza Uomo, lì dove la realtà della materia nella geometria compositiva di piani e volumi, spesso scanditi da vuoti, conduceva, penetrandoli, ai luoghi della mente, a quegli interstizi tra l’astrazione, la metafisica e la vaga surrealtà.
Il circuito di visita non considera la seconda rivista fondata da Gio Ponti, Stile, che godette di vita breve (1941-47); pure in questa possiamo trovare la pubblicazione di alcune maioliche di Melotti, ma sicuramente, a rigor di rilevanza scientifica, il progetto non dimostra un impegno tale da risultare diacronicamente continuativo. Esempi pittorici, grafici, fittili, di incisioni, e di liriche, avrebbero occupato inutilmente gli spazi della Villa; c’è da ricordare che non è il caso di una retrospettiva. Si sottrae all’idillio il terzo piano, sebbene giovando dell’apertura melottiana al dialogo: la project room dedicata alle sculture in ceramica di Alessandro Pessoli e alle tele di Paul Sietsema – quest’ultime ben più in consonanza, rispetto alle prime.