Regno Unito: immigrazione e welfare
Londra – Voltata temporaneamente pagina sulla Grecia in Europa rimangono ancora parecchi dossier aperti, tra i più urgenti senza dubbio quello legato all’immigrazione. Sebbene la priorità imminente sia quella di gestire i flussi di migranti in arrivo dal Nord Africa e il nodo della loro redistribuzione tra i paesi membri, non si può però certo ignorare il tema dell’immigrazione interna. Paesi come il Regno Unito hanno, infatti, recentemente mostrato crescenti segnali d’insofferenza e intransigenza nei confronti dei ‘migranti economici’, in particolare quelli provenienti dall’Est europeo, al punto da paventare la possibilità di norme più stringenti per limitare la libera circolazione prevista dall’UE.
Il problema di fondo sollevato dal governo britannico è quello riguardante l’accesso e lo ‘sfruttamento’ del sistema di welfare del paese ricevente. Di fatto, il quadro regolatorio europeo non offre una chiara interpretazione legislativa della questione. Amelie Constant, direttrice del programma migratorio di IZA (Institute for the Study of Labor), pone l’accento sul problema del trasferimento dei sussidi di disoccupazione e di altri contributi legati al lavoro, sottolineando come non ci sia “allineamento” tra i paesi membri, in quanto essi continuano a custodire gelosamente la sovranità nella gestione delle politiche sociali. Pero l’aumento repentino della mobilità dei cittadini europei dovuto in primo luogo al crescente divario economico e occupazionale tra i paesi del Nord e quelli del Sud e dell’Est europeo richiederebbe un attento dibattito su come sia giusto regolamentare la materia.
Si può dunque davvero parlare d’emergenza migratoria europea? Secondo diversi studi, il problema non si pone poiché la maggior parte dei migranti europei si sposta in cerca di un lavoro migliore e contribuisce regolarmente al sistema di welfare. Steen Mangen, professore della London School of Economics, sostiene che ci sia “abbastanza evidenza da suggerire che i migranti non siano beneficiari di sussidi in numero maggiore rispetto ai nativi” del paese ricevente. Tali studi però non contribuiscono certo a scoraggiare l’incremento delle correnti populiste in diversi paesi europei. Dai dati di Eurobarometro si deduce, infatti, che il problema dei flussi migratori non preoccupa soltanto i partiti populisti ma una crescente fetta di popolazione in vari paesi membri dell’UE. Ciò mette maggiormente in luce il divario esistente tra i problemi reali e la percezione degli stessi da parte dei cittadini, il che rappresenta un vero e proprio terreno fertile per l’avanzata dei movimenti populisti che sfruttano la paura come strumento elettorale.
Seppur paia davvero molto improbabile che alla fine Cameron riesca a ottenere un restringimento della libera circolazione dei lavoratori basandosi su una rivendicazione fuorviante intorno al cosiddetto ‘Benefit Tourism’, il problema di come gestirne la strumentalizzazione rimane. Dopo un recente faccia a faccia tra Cameron e Schulz, lo stesso presidente del Parlamento europeo ha chiaramente espresso il suo disappunto per la manipolazione della questione da parte del governo britannico spingendosi fino a pronunciare la parola “menzogne”. Dunque, in sede di negoziazione sulla riscrittura dei Trattati domandata da Cameron, l’immigrazione verrà probabilmente utilizzata più come strumento di leva per ottenere altri favori o “opt-out” ai quali il governo realmente mira.