Italia delle Regioni
Il Comitato delle Regioni nella sessione plenaria ha affrontato il tema della dimensione sociale degli investimenti pubblici sui territori regionali. Con due pareri proposti dalla coordinatrice della delegazione Anci al Comitato delle Regioni passa in plenaria la linea che solo favorendo gli investimenti territoriali e valutandone il loro valore sociale è possibile superare la crisi e rilanciare l’azione europea. Nello specifico, con il primo emendamento, inserito nel parere ‘Sfruttare al meglio la flessibilità consentita dalle norme vigenti del Patto di Stabilità e Crescita’, si esprime la necessità di un chiarimento sulla quota di cofinanziamento nazionale che può essere rimossa dal calcolo del saldo strutturale di bilancio ai fini del rispetto del Patto. Con il secondo, riferito al parere ‘Esito dei negoziati sugli accordi di partenariato e sui programmi operativi’, per la prima volta viene introdotta la dimensione sociale degli investimenti come indicatore nella valutazione di impatto degli investimenti e strumenti finanziari.
“Questi emendamenti – ha detto la coordinatrice della delegazione Anci al Comitato delle Regioni – sono frutto di un lungo lavoro; per anni l’Italia ha lavorato perché ci fosse maggiore consapevolezza sui danni per gli investimenti causati da una scorretta applicazione del Patto di Stabilità. Per la prima volta abbiamo raccolto voto favorevole per una modifica delle attuali regole, spero sia il primo passo.”
“Le banche e i soggetti privati – ha aggiunto Fanelli – devono tenere in conto la dimensione sociale, non solo i parametri economico-finanziari nelle valutazioni di impatto. Sono molto soddisfatta per questo risultato politico, per la prima volta viene inserita esplicitamente la dimensione sociale degli investimenti in un parere del Comitato delle Regioni, spero che questo abbia come risultato una progressiva attenzione e presa in considerazione da parte della Commissione europea e del Parlamento. Anche la richiesta di un chiarimento sui cofinanziamenti nazionali rispetto al Patto di Stabilità ha un rilievo politico notevole, soprattutto per i Comuni italiani”.
Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e vicepresidente Anci, ha recentemente preso posizione in merito alla riforma del Senato della Repubblica. Per il processo di riforma del Paese siamo allo snodo cruciale. Porre fine all’era del bicameralismo perfetto resta l’obiettivo dichiarato, decisivo da raggiungere per uno Stato – e un meccanismo legislativo – più veloce e adatto alle esigenze della democrazia moderna.
Il Pd, l’unico partito riformatore all’orizzonte, sul tema non può arretrare. Il modello è il disegno di legge Boschi, già approvato alla Camera, che va sostenuto con determinazione, verso la tappa del referendum popolare confermativo previsto per il 2016. Nel frattempo, però, serve fare un passo in più sul tema della rappresentatività dei territori. Quando Forza Italia sedeva ancora al tavolo delle riforme, osteggiò la proposta originaria del premier Renzi, incentrata su un Senato federale formato dai sindaci delle città capoluogo di provincia e dai venti presidenti di Regione.
L’atteggiamento di Forza Italia partorì la mediazione dell’impianto attuale che su questo si trascina, tuttavia, un gap di eleggibilità diretta che può essere recuperato. Perché i pochi sindaci-senatori saranno eletti in modo indiretto dai consiglieri regionali: un meccanismo stravagante che consegna, per la quasi totalità, la composizione dell’assemblea ai consiglieri regionali. E il potere di elezione alle Regioni. Per questo – anche da vicepresidente Anci con delega alle riforme – credo sia il momento di tornare alla proposta originaria di Renzi: se il punto è compattare il Pd, l’unità si può ritrovare attorno a quell’idea, costruita su un sistema chiaro e semplice per i cittadini. I quali consapevolmente sapranno che, votando alle amministrative per il sindaco della città capoluogo di provincia e per il presidente della Regione, eleggeranno automaticamente anche il senatore del territorio. Può essere la carta vincente per prendere più piccioni con una fava: ripristinare il giusto equilibrio tra Comuni e Regioni dentro il Senato delle Autonomie, con 100 sindaci e 20 governatori; recuperare il valore dell’eleggibilità diretta; compattare il partito verso la spinta al necessario percorso di riforma.
Senza tralasciare che, così, le tornate amministrative acquisterebbero anche una giusta connotazione politica, per designare rappresentanti che avrebbero ancora un ruolo non secondario su leggi costituzionali e materie direttamente collegate ai territori. Non solo. Nell’impianto complessivo di riforma, la proposta portata avanti dall’Anci aggiunge due tasselli al disegno, a nostro avviso essenziali: una legislazione più spinta sull’associazionismo dei Comuni e una revisione delle funzioni e del numero delle Regioni. Sul primo punto: i Comuni saranno chiamati a gestire la partita delle Città metropolitane e quella dello svuotamento delle Province. Proprio per questo, dobbiamo essere consapevoli che 8mila Comuni, così come li abbiamo conosciuti finora, non reggeranno più.
Non è una questione che riguarda solo i piccoli enti: coinvolge tutti i Comuni italiani. Serve una legislazione più spinta, per aiutare i Comuni a mettersi insieme e contare di più, ragionando non sui criteri demografici ma sui bacini omogenei nella gestione associata dei servizi. Lo si può fare tramite politiche incentivanti per chi si unisce e disincentivanti per chi non lo fa, sia rispetto al patto di stabilità che alla futura local tax. Infine: si apra una riflessione seria sulla natura delle Regioni, che devono tornare al loro ruolo originario di legislazione e pianificazione, abbandonando la dimensione della gestione.