Cina, presto grande potenza innovatrice?

Da venti anni la Cina fa di tutto per non apparire più solo come la “grande fabbrica del mondo”. La Cina vuole essere un Paese che innova e non solamente il centro di produzione soprannominato “la fabbrica del Mondo”. I fondi devoluti alla ricerca aumentano del 20% ogni anno: rappresentavano l’1,43% del PIL nel 2006 e si prevede che questa percentuali arrivi al 2,5 nel 2020. E’ soprattutto il settore delle imprese pubbliche che contribuisce a questo aumento.

La Cina detiene il record mondiale di deposito di brevetti, con 2,3 milioni di brevetti nel 2013. 825.136 di questi riguardavano invenzioni paragonabili a quelle che esistono nei Paesi  occidentali, mentre gli altri erano disegni o modelli, categorie che rispondono ad esigenze poco appetibili. Non è da sottovalutare il fatto che le imprese cinesi si trovano in terza posizione nel deposito di brevetti presso l’Organizzazione Internazionale per la proprietà intellettuale (OMPI), che ha sede a Ginevra. In totale, nel 2013 gli Stati Uniti hanno depositato presso questa organizzazione 57.239 brevetti, il Giappone 43.918 e la Cina 21.516. Questa cifra rappresenta un aumento del 15,6% rispetto al 2012. Da tre anni a questa parte, è la ZTE che – con quasi 4.000 domande di brevetti l’anno – occupa il primo posto cinese all’OMPI. La ZTE costruisce soprattutto materiale per la telefonia, è presente in 140 Paesi e consacra il 10% del suo giro di affari alla ricerca e allo sviluppo. Le sue richieste di brevetti raggiungono il doppio di un’altra importante impresa cinese, Huawei, che fornisce resti e soluzioni numeriche a numerosi operatori per le telecomunicazioni. Conosciuto soprattutto per l’acquisto della svedese Volvo nel 2010, Geely, uno dei primi dieci costruttori di auto cinesi, con sede a Hangzhou, ha depositato a sua volta 40 brevetti internazionali. Si contano anche tra i principali innovatori, Gree Electric, attualmente primo produttore di condizionatori e Lenovo, produttore di computer, telefoni e televisori che ha comprato IBM nel 2005.

La volontà cinese di sviluppare le sue capacità tecnologiche risale al 1992. Allora fu un modo di intraprendere una nuova strada perché il Paese era isolato sulla scena diplomatica per via delle brutali repressioni perpetrate al movimento studentesco a Tienanmen nel 1989, e per il crollo dei Paesi comunisti europei, tra i quali il colosso URSS. I dirigenti cinesi decisero allora di lanciare lo sviluppo economico del Paese utilizzando come motore l’innovazione. Nel Gennaio del 1992, Deng Xiaoping, l’uomo forte del regime, si reca nella nuova “zona economica speciale” di Shenzhen e dichiara che la Cina “ può imparare molto in materia di tecnologia e di gestione, rielaborare le informazioni e aprirsi a nuovi mercati”. A partire da questa direttiva, la Cina diventerà la fabbrica del Mondo, posizione senza dubbio molto redditizia. Ma nel 2003, le squadre del Presidente Hu Jintao constatano che comporta un fastidioso inconveniente: la dipendenza  per le  tecnologie straniere tocca il 60% nella produzione cinese. Da qui la svolta data dal Primo Ministro Wen Jiabao che crea un gruppo di lavoro incaricato di mettere a frutto un “piano a medio e a lungo termine per lo sviluppo scientifico e tecnologico” previsto dal 2006 al 2020. Uno degli obiettivi è far passare la dipendenza alle tecnologie estere al 30%.

Il piano di innovazione cinese viene definito come “un sistema dove lo Stato ha un ruolo di coordinamento, il mercato gioca un ruolo significativo nella distribuzione delle risorse e dove le diverse organizzazioni e attori sono strettamente legati e si impegnano ad una efficace interazione”. Il cerchio viene chiuso nell’Agosto del 2014, quando Xi Jinping, attuale Segretario Generale del PC cinese, rende omaggio “al coraggio e all’innovazione che erano le caratteristiche che contraddistinguevano Deng Xiaoping” e chiede “di fare dell’innovazione un’attitudine regolare nel lavoro”. In uno spirito, precisa, di “grande rinascita della Nazione”.

All’interno del Governo cinese, il MOST (Ministero della Scienza e della Tecnologia) ha approntato un piano di 15 anni (2006-2020) che fissa gli obiettivi di sviluppo in materia di sviluppo e ricerca. Sono state identificate sette “industrie emergenti strategiche”. Spaziano dall’energia ai nuovi materiali passando dalle macchine elettriche alla biologia. Qualche risultato spettacolare è stato raggiunto in questo immenso sforzo tecnologico. Il supercalcolatore Tianhe-2 e attualmente il più veloce del mondo. Jiaolong  è il primo sommergibile capace di raggiungere più di 7.000 metri di profondità e la sonda lunare Chang’e 3 promette un salto importante nella conquista spaziale. Ma il programma di ricerca cinese si orienta per l’80% verso la sperimentazione a detrimento della ricerca fondamentale. Inoltre, il sistema di insegnamento, molto inquadrato nel Paese, non è propriamente votato alla ricerca, anche se esistano iniziative pubbliche  per rendere più popolari i lavori scientifici. Infine, il peso del controllo del Partito non è un elemento favorevole alla “libertà di scoperta”. Nonostante tutto, la Cina conta su di un numero importante di ricercatori che forma essa stessa e  sui mezzi considerevoli di cui dispone. Le imprese più innovative beneficiano spesso dell’esperienza di cinesi che hanno passato periodi più o meno lunghi in laboratori stranieri e che “rimpatriati” ottengono condizioni economiche molto vantaggiose.

In Europa, nei Paesi OSCE, le spese pubbliche e private per la ricerca e lo sviluppo sono diminuite per via della crisi economica, passando dal 90% al 70% del totale mondiale in 10 anni. Trend completamente inverso a Pechino dove il Primo Ministro Li Keqiang davanti all’Assemblea nazionale popolare annuale ha ancora chiesto di “sviluppare gli spazi per l’innovazione”. Si tratta di creare nuovi luoghi aperti alle micro-imprese e alle start-up. Quale che sia l’evoluzione del resto del Mondo, l’obbiettivo “innovazione” rimane una priorità  della Cina.

©Futuro Europa®

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