Cronache dai Palazzi
Il salvataggio di Azzolini non spacca la maggioranza di governo ma provoca dissapori a destra e a sinistra. Il partito di Renzi ha scelto la linea “garantista” per conservare degli equilibri e già si parla di prove generali del “partito della Nazione” di Renzi, anche se si tratta di una visione piuttosto prematura. In questo frangente la priorità è la stabilità e l’obiettivo principale è arrivare al 2018 quindi niente scossoni, bensì solo rassicurazioni agli alleati, mascherate dalla “libertà di coscienza”.
In casa dem le divisioni si rivelano però più acute del solito. Serracchiani sostiene che occorre “chiedere scusa”, mentre Guerini rivendica il “no” e il diritto di decidere dopo aver consultato le carte processuali. Ma subito dopo si fanno fotografare insieme sorridenti per smentire immediatamente i dissapori reciproci. Di fatto la minoranza interna molto probabilmente si è schierata con Movimento 5 Stelle e Lega. In sostanza si tratta dell’ennesimo scontro tra politica e magistratura in cui il Parlamento rivendica la propria autonomia e la politica salva se stessa. Alla fin fine, quindi, l’impressione è quella di essere spettatori di una pagina ordinaria di storia parlamentare.
Si tratta comunque di un Pd spaccato che dopo il caso Azzolini si divide di nuovo sul rinnovo del cda di Viale Mazzini, cda che la Vigilanza voterà martedì 4 agosto. Per il ministro alle Riforme, Maria Elena Boschi, “avere una parte del Pd che vota contro il Pd significa avere una parte più ancorata a logiche di corrente del passato che all’interesse dell’Italia”. In definitiva un accordo sulle nomine, che saranno fatte con la vecchia legge Gasparri , ancora non c’è.
Nel frattempo debuttano i verdiani con l’“Ala”, Alleanza liberalpopolare-autonomie, un gruppo di dieci senatori che per ora sfidano la sopravvivenza ancorati ai numeri strettamente necessari. L’acronimo “Ala” sembra scelto non a caso. Ala del governo. Del resto Denis Verdini ha fatto della linea di “opposizione responsabile” la sua bandiera, e riguardo a Berlusconi ha affermato: “A lui mi lega un profondo affetto, ma vediamo le cose in maniera diversa. Berlusconi è sempre stato lungimirante e guarda a una dimensione più alta, ma non serve se non vedi le possibilità che ci sono nella situazione attuale”, ossia contribuire alle riforme partendo da quella istituzionali che “non devono essere modificate”. Verdini si dichiara invece pronto a discutere di Italicum, magari ripristinando il premio alla coalizione, come sembra vorrebbero anche i forzisti. “Un divorzio che fa male”, ha ammesso l’ex senatore azzurro che nel frattempo rassicura la sinistra dem sottolineando che nessuno dei suoi vuole aderire al Pd. La maggioranza conquista così un margine più ampio in Senato, che attende di essere riformato, ma la partita più ardua si giocherà a settembre quando si entrerà, forse, nel vivo delle riforme.
Riforme rievocate anche dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, durante la cerimonia del Ventaglio. “Mi auguro che il percorso di riforme in itinere vada in porto dopo decenni di tentativi non riusciti – ha ammonito Mattarella -, non entro nel merito delle scelte, che appartengono solo al Parlamento, ma mi auguro che il processo vada in porto, è uno dei punti nevralgici di questa legislatura”, una legislatura che ambisce ad arrivare al 2018. Il capo dello Stato ha inoltre elogiato l’Ue per gli interventi sull’immigrazione, ha ribadito che la lotta alle mafie e alla corruzione rappresenta una delle priorità dello Stato e ha rimarcato la crisi economica e l’importanza del lavoro.
Una crisi che a quanto pare non sarà breve o di facile risoluzione, come rimarcato anche dal Fondo Monetario Internazionale che gela gli entusiasmi dei ministri italiani Padoan e Poletti. I rischi potrebbero rivelarsi irreversibili: “L’alta disoccupazione giovanile potrebbe danneggiare il capitale umano potenziale portando a una ‘generazione perduta’”, ammoniscono gli economisti di Washington. I ritmi di crescita sono troppo lenti e per tornare dall’attuale 13% ai livelli pre-crisi – al 2007, quando l’Istat certificava un tasso di disoccupazione generale del 6,1% – secondo il Fmi l’Italia impiegherà vent’anni.
Il governo italiano ovviamente non è d’accordo. Secondo una nota del ministero dell’Economia le previsioni del Fmi si basano su una metodologia che non tiene conto delle riforme strutturali già in atto, a partire dal famigerato Jobs Act. Analizzando i dati di giugno la situazione appare comunque tutt’altro che incoraggiante. Il saldo del lavoro stabile è tornato negativo, in pratica le assunzioni con contratti di lavoro “fisso” viaggiano su livelli di molto inferiori alle cessazioni con uno scarto di circa diecimila unità. Il risultato appare invece positivo se si guarda al passato, a giugno del 2014 ad esempio, quando il saldo assunzioni/cessazioni risultava sempre negativo a vantaggio delle seconde ma in quel caso le unità di scarto erano circa 32.000, quindi il triplo rispetto a giugno di quest’anno.
“Ci sono segnali di ripresa” ma “occorre svilupparli e incoraggiarli, farne un uso il più accorto possibile”, ha ammonito il presidente Mattarella di fronte alla stampa parlamentare ricordando che “Il lavoro per tutti è un principio della nostra Costituzione”. “Non possiamo abbandonare un’intera generazione e il Sud” ha avvertito il capo dello Stato riferendosi ai drammatici dati sulla disoccupazione giovanile. Mattarella ha rimarcato chiaramente i “due obiettivi” del processo riformatore: “L’efficienza dell’assetto organizzativo della nostra democrazia e la partecipazione”. In particolare “l’accrescimento del processo democratico” si configura “nel rapporto collaborativo tra diversi livelli di governo” ed è strettamente legato alla “partecipazione dei cittadini” che rappresenta “l’ossigeno della democrazia”. Al contrario “la democrazia deperisce quando non vi è partecipazione o questa decresce, ma anche se il processo decisionale è inconcludente o privo di efficienza”. Come in una vera lezione di diritto costituzionale, Sergio Mattarella ha sottolineato inoltre il necessario equilibrio tra i poteri dello Stato, in pratica “una garanzia che presidia il carattere autentico della democrazia così come è designata in Costituzione”. Quest’ultima “disegna un sistema di controlli reciproci tra organi dello Stato” e Mattarella ne fa il suo “parametro di comportamento”.
Nessuno, infine, “tantomeno il presidente della Repubblica che non ha poteri di scelta politica” può essere “un “uomo solo al comando, nel nostro Paese. Non è possibile in democrazia e la Costituzione disegna del resto un sistema equilibrato, un accorto e felice sistema di equilibri e controlli reciproci e di influenze vicendevoli tra organi e poteri dello Stato”. Nonostante le “turbolenze”, il capo dello Stato ha infine rinnovato il proprio rispetto e la propria fiducia al Parlamento. Non ha “motivo di lamentarsi del comportamento dei giocatori” tranne quando omettono le “regole” che presidiano la Costituzione, smarrendo quindi “la consapevolezza di doveri e limiti”.
A proposito di regole occorre ad esempio eliminare la corruzione, “una situazione gelatinosa che si combatte con rigore. E rigore vuol dire trasparenza”. Anche perché “dove la legalità diminuisce, la società paga altissimi costi sociali ed economici”, ha ammonito Mattarella. “Il Ventaglio non viene regalato per il caldo estivo, ma per i momenti ‘caldi’ del dibattito parlamentare”, ha affermato il presidente della Repubblica con una punta di ironia e, soprattutto, richiamando tutti i giocatori al rispetto delle regole – che in Europa potrebbero anche essere regole di “solidarietà dell’Unione” e non solo economiche – nonostante l’aria vacanziera che già si respira all’interno dei Palazzi.