UE, ancora dubbi sulla Politica Agricola Comune
Sin dalla sua costituzione negli anni Cinquanta, l’Unione europea ha sempre posto il tema dell’agricoltura al centro delle proprie politiche di sviluppo economico del territorio comunitario. L’articolo 3 del Trattato di Roma del 1957 aveva già previsto la costituzione di un programma unitario di promozione agricola innovativa, che nel 1962 prese il nome di Politica Agricola Comune (PAC).
Nel giugno 2013 è stata approvata la più importante riforma della PAC, firmata al Parlamento UE di comune accordo con il Consiglio, che ha introdotto una maggiore flessibilità di movimento dei finanziamenti tra il cosiddetto “Pilastro 1” (pagamenti diretti agli agricoltori in attività) e il “Pilastro 2” (destinati allo sviluppo rurale). Inoltre, prevede incentivi per l’avvio di imprese di piccole dimensioni e condotte da giovani agricoltori, oltre a nuove misure per la protezione del suolo e della biodiversità animale e vegetale.
Tuttavia, con l’entrata in vigore delle nuove regole, nelle scorse settimane i leader europei autori della riforma hanno avanzato dei dubbi sulle aree più controverse della nuova PAC, ad esempio riguardo al rispetto delle nuove norme ambientali. Già a dicembre 2014, i ministri dell’agricoltura di Danimarca, Estonia, Germania, Regno Unito, Repubblica Ceca e Svezia avevano richiesto una PAC “più semplice e più efficace, con al centro occupazione e crescita”. Le modifiche riguardano il tema della diversificazione delle colture, che richiede agli agricoltori di mantenere pascoli permanenti e le cosiddette aree di interesse ecologico (Ecological Focus Area EFA), progettate per incoraggiare la diversità biologica.
Nel maggio 2015 il Comitato Speciale Agricoltura (CSA) del Consiglio europeo ha invitato la Commissione europea a semplificare la PAC in diversi settori chiave: greening, sanzioni per gli agricoltori che non rispettano le misure ambientali e processo di approvazione per i progetti di sviluppo rurale. Il CSA ha inoltre dato una spinta per la riduzione della burocrazia richiesta alle organizzazioni di produttori. La Commissione ha già annunciato sei passi per chiarire tali questioni in cantiere e ha tempo fino a novembre 2015 per presentare le sue raccomandazioni in altri settori. I cambiamenti entreranno in vigore nel 2016.
Tuttavia Samuel Féret, presidente del think tank Groupe de Bruges, teme che tale “semplificazione” porti a un ulteriore allontanamento dal rispetto degli standardi dell’UE: «I compromessi a livello europeo sono più difficili da raggiungere. È per questo che l’andamento complessivo dell riforma va verso una PAC à la carte. In una certa misura la PAC non è più così comune, dato che uno dei principali risultati politici della riforma è quello di lasciare maggiore flessibilità agli stati membri. E una maggiore flessibilità porta spesso ad una maggiore complessità».
Oggi la PAC costituisce la maggiore voce di bilancio dell’UE, con un 34% di fondi destinati a migliorare il rapporto tra l’Europa e i suoi agricoltori: il suo compito principale è quello di garantire la sicurezza alimentare. In particolare, la PAC sostiene i produttori nel produrre quantità di cibo sufficienti e di qualità, attraverso la tracciabilità e la standardizzazione dei controlli sanitari; tutela le imprese agricole contro la volatilità dei prezzi e le crisi di mercato, offrendo sostegno per incrementare il numero dei posti di lavoro nell’industria alimentare; si impegna nella lotta ai cambiamenti climatici e nella gestione sostenibile delle risorse naturali.