La riforma della P.A.

Giulio Andreotti diceva che al manicomio ci sono due tipi di pazzi: quelli che credono di essere Napoleone e quelli che vogliono riformare la Pubblica Amministrazione italiana.  Era l’espressione di quello scetticismo che faceva considerare alcune imprese impossibili e quindi inutili se non derisorie. Passava per sottile intelligenza, magari per furberia, ma in realtà è una delle cause dei nostri ritardi.

Che la P.A. sia in generale impervia  (da noi, ma non solo da noi, vedi Bruxelles) a ogni cambiamento è purtroppo nell’ordine delle cose. Le famose “Leggi di Parkinson” spiegano chiaramente il perché. La burocrazia è un gran corpo che per giustificare sé stesso, la propria bulimica crecita e il proprio potere, ha bisogno di inventare sempre adempimenti nuovi, complicazioni nuove. Se per aprire un negozio non ci fosse bisogno di tanti permessi, non servirebbero gli uffici corrispondenti e quindi le centinaia di funzionari e impiegati incaricati di provvedervi. Dove le regole sono poche, semplici e chiare, la P.A. è snella e in genere efficiente. L’ho visto in molti Paesi del Nord Europa. In quei Paesi, il pubblico impiegato sa di essere al servizio dei cittadini e sottoposto al loro controllo. Da noi, eredi di una doppia tradizione burocratica, borbonica e sabauda, chi sta dalla parte giusta dello sportello o del tavolo si ritiene superiore. L’altro – il suddito –  sta da quella sbagliata. È stato sempre così, ma ai tempi nostri le insensate riforme federaliste hanno moltiplicato e talvolta accavallato i livelli di responsabilità amministrativa, per cui la vita dei cittadini, soprattutto se dediti ad un’attività imprenditoriale, è diventata sempre più un labirinto. Per non parlare del carico impositivo, aumentato in modo esponenziale sotto tutti i governi dell’ultimo ventennio e quasi tutto assorbito dalle spese per una burocrazia cresciuta – specie negli anni berlusconiani – a dismisura, pachiderma che frena lo sviluppo economico e complica la vita a tutti.

Non so se Matteo Renzi si prenda per Napoleone (un pochino forse sì) ma certo appartiene a quella genia di matti che di tanto in tanto si propongono di riformare la nostra P.A. Qualcuno ci aveva  provato in passato. Che io ricordi, solo Franco Bassanini riuscì a introdurre qualche norma semplificatrice (ad es. l’autocertificazione) che peraltro l’insieme della burocrazia fece poi di tutto per vanificare. Ci provò Brunetta, con esiti nulli. Ci riprova ora la signora Madia. Nell’Amministrazione ho vissuto per oltre quarant’anni, ne conosco i difetti e da sempre penso che è giunto il momento di cambiare le cose, per cui ammiro con tutto il cuore chiunque abbia la pazienza e il coraggio necessari per tentarlo. Alla giovane Ministra va quindi tutta la mia simpatia.

A dire il vero, però, una prima, forse superficiale, lettura della legge delega approvata dal Parlamento non mi ha dato l’impressione che la riforma vada veramente in profondità. Tocca alcuni aspetti, certo importanti, ma a mio avviso sfugge al problema fondamentale, che per esperienza ritengo stia nella Legge sulla Contabilità generale dello Stato, tuttora complicata, pesante e in realtà inefficace. A mio avviso, servirebbe  una vera rivoluzione, che dall’attuale impostazione ipergarantista, nella quale si parte dal principio della diffidenza  verso i gestori della spesa, si passi a quello della responsabilità personale di gestione, con latitudine di scelta ma anche con tutte le conseguenze, ovviamente anche penali, in caso di condotta impropria. Faccio un esempio: il titolare di un ufficio si vede per ogni esercizio finanziario assegnare somme minuziosamente ripartite tra vari capitoli di spesa. Mettiamo, tanto per pagare l’elettricità o le pulizie, tanto per comprare materiale di cancelleria e così via. Se su un capitolo spende di meno, e su un altro di più del previsto non può trasferire il risparmio a vantaggio della maggiore spesa. Deve restituire l’avanzo al Tesoro e poi chiedere di ripianare il debito per il resto. Il risultato è che nessun gestore (o ben pochi) restituiscono le somme non spese, se non altro perché temono di vedersi ridotta in conseguenza l’assegnazione per l’esercizio successivo. Si affretta a spendere tutta la somma, magari per acquisti superflui. Però il ripiano del debito contratto su altri capitoli lo chiede eccome! Quindi lo Stato non risparmia. Da tempo penso che il sistema dovrebbe essere differente: avere fiducia nel gestore di spesa, assegnargli una dotazione complessiva e poi lasciarlo sbrogliarsi come può e sa, ovviamente rendendo rigidamente conto delle spese effettuate. Si ridurrebbero di molto i meccanismi di controllo e il personale relativo (la stessa ipertrofica Corte dei Conti potrebbe essere molto ridimensionata), l’intera Amministrazione ne risulterebbe più snella e la spesa calerebbe.

Se potessi dare un consiglio alla signora Madia, sarebbe quello di guardare a fondo questo problema. Mi si potrà chiedere: ma è questo proprio il momento di dare fiducia a chi maneggia denaro pubblico, con tutti gli esempi di corruzione che ci sono? Rispondo: la  maggioranza dei pubblici amministratori è composta di gente perbene che non chiede di meglio che poter gestire le risorse a disposizione con buon senso e rispetto del pubblico bene. I corrotti, che pur ci sono, è raro che intaschino direttamente i soldi pubblici. Lo fanno per vie indirette, attraverso appalti falsificati, favoritismi e trucchi del genere, contro i quali il sistema vigente, del tutto formalista, non serve a nulla.

Altri principi a cui la riforma si ispira (tra cui quelli della trasparenza  e della meritocrazia) sono sacrosanti e spero che non restino solo pie intenzioni. Come ho detto più sopra, la mia è una lettura forse superficiale del testo di legge. Ora vedremo i decreti delegati, perché da lì si capirà la vera portata di una riforma che il Governo sta reclamizzando come un gran successo (e lo sarebbe davvero, se riuscisse).

Cambiare le cose, poco o molto, è comunque una necessità e un dovere della classe politica e specialmente di chi ha in mano il governo. Bene ha fatto quella parte dell’opposizione che ha garantito il numero legale in Senato. Quelli che mettono bastoni nelle ruote, per qualsiasi motivo,  sindacalisti inclusi, fanno  invece ostruzionismo di bassa lega. Per loro vale il vecchio proverbio arabo “I cani abbaiano, la carovana passa”.

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