Cronache dai Palazzi

Prove di dialogo a Palazzi chiusi. Dopo l’intesa sui vertici Rai, l’ex premier apre ai dem ma la condizione è partire dalla giustizia. Non il Senato elettivo o semielettivo, non gli interventi sull’Italicum e nemmeno un taglio delle tasse, la riforma della giustizia è la condizione per sedersi di nuovo intorno ad un tavolo con Matteo Renzi, ovviamente “in un contesto che non potrà mai essere simile alle cose che abbiamo dovuto ingoiare col patto del Nazareno”, ha ribadito Berlusconi.

I forzisti sembrano aver messo a punto un programma di riforma in cui emergono quattro punti fondamentali. Primo, una revisione delle intercettazioni telefoniche limitandone gli ambiti di utilizzo nelle indagini e la possibilità che vengano pubblicate. Secondo, la carcerazione preventiva che secondo i berlusconiani dovrebbe essere limitata ad una serie di reati particolarmente gravi. Terzo, la separazione delle carriere dei magistrati per cui l’ex premier e i suoi consiglieri proporrebbero l’istituzione di due Consigli superiori della magistratura:uno per chi indaga e l’altro per chi  giudica. Quarto, un sostanziale cambiamento dei meccanismi di formazione dei collegi giudicanti. In quest’opera di revisione della giustizia Paolo Romani sarebbe stato indicato come il mediatore in grado di dialogare con gli avversari, in quanto da sempre sostenitore dell’ala morbida nei confronti del governo. All’interno del partito azzurro non mancano però coloro che, come Santanché e Bergamini, si oppongono a qualsiasi forma di dialogo con il governo. Il governatore Toti sottolinea comunque che non c’è in ballo nessun tipo di “scambio”, ma “se Renzi disposto a discutere con noi in modo serio di una riforma della giustizia, noi ci siamo”, chiosa il consigliere politico di Berlusconi. “Ci saremo anche se le sue risposte sulla riforma del Senato non fossero quelle che noi vogliamo”, aggiunge Toti.

Per i renziani la riforma del Senato rimane però la priorità, anche per arrivare al 2018. L’appello è rivolto non solo agli avversari ma alla stessa minoranza dem al lavoro su un documento programmatico per “riequilibrare” il partito. Per i dissidenti “la questione delle riforme costituzionali va disgiunta da quella dell’esecutivo” e riguardo alla riforma del Senato (elettivo o semielettivo) “il governo – ha affermato D’attorre – va avanti anche se no passa un emendamento. Le priorità del resto sono altre. Nel Paese reale non si parla di riforma del Senato ma di altre emergenze. Il governo si dedichi alla lotta all’evasione, ai problemi del Sud, pensi al patto di Stabilità e non tema nessun agguato”. I bersaniani, in particolare, mirano a riorganizzare le fila del partito democratico per “farlo tornare ad essere il motore della sinistra e non il partito della nazione che vuole Renzi”. Il problema è coinvolgere la base del Pd e da qui la necessità di stilare “un documento programmatico”.

Di fatto la diffidenza regna sovrana in casa dem, e in parte i renziani temono che le riforme costituzionali vengano strumentalizzate dai dissidenti che nel frattempo tramano la loro tela. “Non vorrei sbagliarmi ma credo di aver votato finora 34 volte la fiducia – ammonisce Federico Fornaro dal fronte della minoranza – Renzi non ascolti i cattivi consigli e apra al Senato elettivo: ne uscirebbe vincitore insieme al Pd così come avvenne con l’elezione di Mattarella”. C’è chi è convinto infine che questo “teatrino” proseguirà fino alla fine di agosto. Per Corradino Mineo “la verità è che Renzi è in calo di consensi e non ha i numeri. Alterna finte offerte di confronto a minacce e intanto cerca contatti personali per addolcire qualcuno”.

A proposito di riforme, come sottolinea Giovanni Toti “non è soltanto una questione di numeri. Riforme come quelle della costituzione, come la legge elettorale, e anche come quella della giustizia, non le puoi fare raccattando consensi nel bidone del peggior trasformismo della Prima Repubblica”. Per il consigliere politico di Forza Italia “Renzi non può ergersi a uomo nuovo e poi fare come nelle peggiori democrazie”. A Palazzo Madama, in particolare, finora Renzi avrebbe in pratica bisticciato con la sinistra del suo partito e avrebbe cercato di “blindarsi con numeri che gli arrivano dai peggiori trasformisti all’italiana”. In effetti la situazione in Senato rimane ballerina anche se il presidente del Consiglio è convinto che alla fine una maggioranza si troverà, e non solo con il sostegno dei verdiniani. Essere parte del processo di riforma delle istituzioni rimane in effetti un obiettivo anche per  i forzisti che comunque insistono sull’elettività diretta dei senatori e sul premio di coalizione nell’Italicum.

La riforma costituzionale è la cifra della legislatura e al netto dell’art.2 (elettività indiretta dei senatori) Renzi sembra dimostrare una certa apertura: “La riforma si può migliorare in molti punti e siamo aperti al confronto con tutti, ma non sugli argomenti che hanno già ricevuto una doppia votazione conforme”, è la sua posizione riferendosi in particolare al punto che la minoranza dem vorrebbe fosse modificato. “Gli emendamenti tesi a modificare  la riforma e far diventare il Senato direttamente elettivo non sono ammissibili”, dichiara inoltre il costituzionalista Stefano Ceccanti al quale Palazzo Chigi fa riferimento.

David Ermini, responsabile Giustizia del Pd, sottolinea infine che non sono in corso “trattative della giustizia di nessun genere” e non esiste alcuna volontà di legare la riforma della giustizia alla riforma del Senato. “Le intercettazioni non si toccano – sottolinea ancora Ermini – e per quanto riguarda il resto abbiamo approvato un sacco di cose.” Ed inoltre “se la riforma del processo penale si è arrestata è stato solo per arginare l’ostruzionismo del M5S. Non c’è materia per alcuna trattativa tanto meno legata alle riforme”.

In definitiva, per quanto il governo sia convinto di avere i numeri, la realtà è che oggi a Palazzo Madama i numeri per una maggioranza politica non ci sono. Quindi, per quanto il l’esecutivo giganteggi raccogliendo fuoriusciti e scissionisti a destra e a sinistra e togliendo valore alle coalizioni – come del resto tende a fare l’Italicum – Renzi si trova di fronte ad un giro di boa e prima o poi sarà costretto a incollare qualche vaso rotto, sia in casa propria sia con le opposizioni.

Il fine non sarà semplicemente quello di evitare una convergenza tra i ribelli pd e le opposizioni, bensì coalizzare un arco di forze in grado di concretizzare una reale maggioranza che non sia per di più una mera maggioranza numerica, altresì una maggioranza di consensi attorno alle riforme da dare responsabilmente al Paese. In quest’ottica riforma costituzionale, riforma della giustizia e nuova legge elettorale viaggiano sulla stessa barca pur conservando ognuna la propria autonomia. La partita politica è aperta e il gioco delle trattative deve ancora iniziare.

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