Birmania, la battaglia dell’acqua svela una crescita a due velocità
Per strada, a Rangoon, è facile vedere bere acqua contenuta in giare sparse per i quartieri. In una Birmania in pieno cambiamento, in molti non possono ancora permettersi il lusso di bere acqua imbottigliata e depurata.
Il mercato dell’acqua è in crescita, come lo dimostrano le pubblicità invitanti che riproducono immagini delle Alpi e che cercano di convincere i sette milioni di consumatori della capitale economica del Paese, Rangoon. Ma la coesistenza dei due sistemi, acqua in bottiglia e giare tradizionali, che sopravvivono anche in città, è la testimonianza di una crescita a due velocità, che non si stempera quattro anni dopo l’apertura di un Paese segnato da decenni d’isolamento agli investitori stranieri. Le riforme che puntano a liberalizzare l’economia sono salutate dalla Banca Mondiale, che prevede per il biennio 2014-2015 una crescita di più dell’8%, mantenendo lo stesso trend del biennio 2013-2014, crescita data dal boom dell’edilizia e della produzione dei beni manifatturati. Ma, in un Paese dove la prima concessionaria Jaguar ha aperto appena un anno fa, il Prodotto Interno Lordo per abitante rimane uno dei più bassi del Sudest Asiatico (1.105 dollari l’anno a persona) e più di un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà.
Ma l’acqua che arriva ai rubinetti della maggior parte delle persone, operai, manovali, gente comune, l’acqua non è potabile, rendendo il mercato dell’acqua purificata un’industria fiorente. Le giare di quartiere vengono riempiete dai monaci se situate davanti ad un monastero, o dai venditori del mercato che organizzano regolarmente delle collette o dai semplici abitanti: in molti fanno semplicemente bollire l’acqua prima di metterla a disposizione della comunità. E’ così da sempre, un’abitudine che ci si tramanda di generazione in generazione. In Birmania, solo il 31% della popolazione urbana consuma acqua purificata, secondo un censimento nazionale reso pubblico qualche settimana fa. La percentuale precipita al 2% nelle campagne, dove vive la maggioranza degli abitanti. Anche nelle zone urbane, quasi il 40% utilizza ancora i pozzi o fonti. Per le strade di Rangoon, numerosi venditori d’acqua percorrono le strade con damigiane di plastica la cui marca si è cancellata per via dell’usura.
Poco a poco il mercato si organizza, con due grandi marche locali che dominano, Alpine e Life. Nestlé Waters, un tempo interessata da Alpine, ha appena rinunciato all’investimento dopo aver inviato per un anno una sua squadra a Rangoon per studiare il dossier. I camion che trasportano tonnellate di bottiglie Alpine si fanno largo tutto il giorno per le strade trafficate della capitale. La società ha prodotto 200 milioni di bottiglie lo scorso anno e punta ad arrivare al traguardo delle 300 entro il 2015. Il leader del mercato vuole conquistare la classe media emergente che ha ormai i mezzi per prestare attenzione alla qualità dell’acqua che consuma. Per l’AD della società, Sai Sam Htun, è un settore dal grande futuro: la classe media è sempre più numerosa e sempre più ricca creando un potenziale mercato dalle grandi aspettative.
Lo scorso Febbraio, il Ministero della Salute ha vietato la vendita di più di 70 marche di acqua in bottiglia che non avevano superato gli esami batteriologici. Qualcuna pompava semplicemente l’acqua dal sottosuolo o la prendeva dal rubinetto, senza sottoporla ad alcun trattamento chimico. Alpine ha chiesto ad esperti occidentali di aiutarla a mettere a punto il suo sistema di filtraggio alla fonte. Tra loro, Fenton Holland, un biochimico australiano che ha creato una società di analisi sanitaria a Rangoon e che ha fatto da consulente a gruppi agroalimentari locali, che hanno scommesso tutto nell’apertura di fabbriche in Birmania, una per tutte Coca Cola. Anche nella produzione di patatine è necessaria l’acqua depurata…
In Birmania, grazie al clima tropicale, non mancano mezzi idraulici, ma non utilizza che il 5% del suo potenziale perché molte tubature e condutture devono essere riparate e pulite: ripristinare la rete è una delle grandi sfide da vincere. Alla fonte del problema ci sono decenni di giunta militare che ha trascurato le infrastrutture, dalle strade alle pompe. La maggioranza delle canalizzazioni ha tra i 50 e i 70 anni. Molte società straniere lavorano sul dossier della riqualifica della rete idraulica e della depurazione delle acque. L’Agenzia Giapponese per lo Sviluppo (JICA) per esempio lavora per la creazione di fabbriche per il trattamento delle acque pompate da laghi artificiali.
La sfida è lanciata, ma ci vorrà del tempo per vedere i risultati: 5 anni per il ripristino della rete del centro della capitale, 20 per tutta l’area urbana di Rangoon. Intanto il business dell’acqua in bottiglia cresce e la tradizione delle giare, impregnata di solidarietà, si spegne in nome del progresso.