Corte di Amburgo sui Marò, mezza vittoria o mezza sconfitta?
Una contesa infinita, quella tra India e Italia che, da oltre tre anni, mette in gioco le vite dei marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Più governi si sono alternati lungo il corso della vicenda e, a prescindere dalla buona o cattiva gestione del caso, nell’intento di riportare quanto prima a casa i due fucilieri, si era subito capito che la granitica posizione delle autorità indiane non avrebbe consentito una breve risoluzione.
Sullo sfondo, situazioni molto delicate e complesse hanno forse dilatato i tempi d’intervento, rendendo più timide le iniziative assunte per la liberazione dei militari. L’Italia ha dovuto tenere conto delle relazioni diplomatiche, dei rapporti commerciali e del palcoscenico internazionale su cui il contenzioso è rimbalzato, misurando il proprio valore ponderale con la controparte in un braccio di ferro che, onorabilità e dignità nazionali a parte, mira innanzi tutto a salvare la vita di due nostri soldati.
Di questi giorni, la notizia che il Tribunale internazionale per il diritto del mare di Amburgo (Itlos), al quale il nostro paese aveva fatto appello, impone a Italia e India di sospendere entrambe tutti i procedimenti giudiziari e di astenersi da nuove iniziative che potrebbero aggravare la disputa o pregiudicare qualsiasi provvedimento l’organo arbitrale, cui è sottoposto il caso, decida di adottare. Dispone, inoltre, un’udienza d’approfondimento il 28 settembre prossimo, in cui le parti dovranno esibire alla Corte ulteriori elementi.
In attesa della conclusione dell’iter giudiziario, il nostro governo aveva chiesto – in via provvisoria – il rientro in patria di Salvatore Girone, al momento residente presso la nostra ambasciata a New Delhi, e la permanenza in Italia di Massimiliano Latorre, tuttora in convalescenza a casa dopo l’ischemia accusata in India; tuttavia, il Tribunale, non incline ad entrare in giudizi di merito, ha rinviato la decisione alla competenza della Corte internazionale dell’Aja e ha respinto l’istanza. Numerose le reazioni fra i partigiani del bicchiere mezzo pieno e del bicchiere mezzo vuoto. Il ministro degli Esteri Gentiloni è comprensibilmente ottimista e parla di risultato utile: il Tribunale di Amburgo ha decretato, in via definitiva, il principio che non sarà la giurisdizione indiana ad amministrare la vicenda, ma un arbitrato internazionale, fondamentale presupposto a sviluppi positivi e indice dell’accoglimento della versione italiana, secondo la quale i fatti si siano svolti in acque extra-territoriali.
Di diverso avviso il ministro dei Trasporti Delrio: “Ci aspettavamo una decisione diversa. La notizia non va nella direzione sperata e il governo ne prende atto”. Gli fa eco Gasparri, di Forza Italia, denunciando l’incapacità di un esecutivo che ha sottovalutato la situazione e che, invece di ricevere giustizia, ottiene solo ritardi e rinvii. L’ex ministro degli Esteri durante il governo Monti, Giulio Terzi, accoglie con favore la bocciatura della giurisdizione esclusiva dell’India, ma critica il fatto che, nel 2013, il governo dichiarò, in contrasto con le valutazioni della Farnesina, come l’arbitrato internazionale fosse l’ultima carta da giocare, quando invece avrebbe dovuto essere la prima iniziativa da intraprendere con risoluta immediatezza.
Cicchitto, di Ncd, difende l’attuale esecutivo dalle polemiche, assegnando la responsabilità politica del caso Marò alle “dissennate decisioni assunte in varie riprese dal governo Monti”. Parla, infine, di “rigore fallito a porta vuota” Giorgia Meloni, presidente di Fdl, criticando il governo Renzi per aver atteso mesi prima di ricorrere all’arbitrato internazionale e per essere riuscito anche a farsi respingere dal tribunale del mare di Amburgo le legittime richieste dell’Italia.
Di certo, a nostro giudizio, non è irrilevante che, nel momento del riconoscimento di una giurisdizione internazionale sul caso, il Tribunale non abbia emanato anche la disposizione che sancisce la cessazione delle misure cautelari ai due militari e l’ingiustificabilità della loro permanenza su suolo indiano. Ciò vuol dire che Girone resta a New Delhi e Latorre, obbligato dalla delibera della Corte di Amburgo, dovrà raggiungerlo, senza altre dilazioni di tempo, allo scadere del permesso. Frattanto, perché il contenzioso sia istruito all’Aja, si stima passeranno altri due interminabili anni.