Marò, al di là delle interpretazioni

Mi scuso di dover tornare ancora sulla vicenda dei nostri Marò accusati di omicidio in India, ma nessuno dei tanti commenti che ho letto sulla decisione del Tribunale del Mare mi è parso servire a chiarire come stanno veramente le cose. Lasciamo da una parte le vociferazioni di una certa destra sciovinista che naturalmente accusa il Governo di tutti i mali (cosa avrebbero fatto loro se fossero stati al suo posto non è chiaro: mandare la flotta a bombardare le coste indiane?). Tutto ciò appartiene al trito folclore della politica. Ma anche molti giornalisti seri non sembrano capaci di uscire dal labirinto delle interpretazioni. E persino nel Governo c’è chi, in modo ritengo autorizzato, visto che si tratta del Ministro degli Esteri Gentiloni, dichiara di essere parzialmente soddisfatto e chi, come il Ministro delle Infrastrutture e Trasporti Delrio, invece si mostra scontento. Eppure, capire come stanno le cose non è poi tanto difficile.

Vediamo. Ho scritto, attirandomi qualche improperio, che non dobbiamo mai dimenticare che all’origine c’è la morte di due pescatori indiani scambiati per pirati. Capire come e perché il fatto sia avvenuto non può essere opera dell’opinione pubblica, da una parte e dell’altra, né della stampa e neppure di politicanti pronti a sfruttare qualsiasi occasione per pescare pubblicità e voti. Solo una Corte di Giustizia può farlo, dopo aver esaminato con cura tutte le circostanze. Assolvere o condannare a priori Latorre e Girone è, quindi, un esercizio futile e sciocco (vedo che Grillo, nel suo blog, li ha già sbrigativamente condannati: venendo da lui non mi stupisce.)

Il punto è di sapere a chi spetti il processo: alla Giustizia italiana, visto che il fatto è accaduto su una nave, e quindi in terra italiana, o a quella indiana, visto che le vittime sono cittadini di quel paese? Per favore, prima di stracciarci le vesti, teniamo presente che una clausola che consente di perseguire reati commessi contro cittadini italiani anche all’estero esiste nella nostra normativa ed è quella che ci ha permesso di giudicare e condannare, ad esempio, alcuni ufficiali argentini responsabili della sparizione di nostri connazionali nel periodo della dittatura. Ho sempre pensato, e continuo a farlo, che la nostra posizione sia fondata. Ma il dato di fatto è che i due Marò erano materialmente sotto il controllo indiano. Il quale, voglio ricordarlo ancora una volta, è stato tutto sommato blando, se si considera: che i due sono stati assegnati agli arresti domiciliari nella nostra Ambasciata, che si è scartata abbastanza presto l’ipotesi di terrorismo (con condanna a morte) e che ad essi sono state concesse licenze per Natale e per malattia in Italia. In complesso, non il comportamento di una Giustizia barbara e feroce.

Individuare il foro di giustizia competente, o trovare un accordo politico che permettesse di risolvere la questione, non è stato evidentemente possibile. Finalmente, il Governo italiano ha imboccato la strada corretta dell’arbitrato internazionale. Sono d’accordo con mio carissmo Giulio Terzi, Ministro degli Esteri del governo Monti, secondo cui si sarebbe dovuto farlo sin dall’inizio. Perché non sia stato fatto, non lo so e comunque è inutile discuterne oggi. L’importante è che ora siamo sulla strada giusta.

E veniamo alla decisione del Tribunale di Amburgo. Cosa si voleva da parte italiana? In via principale, che fosse stabilita la giurisdizione italiana o in difetto internazionale, escludendo quella indiana. In via accessoria, si puntava anche a ottenere la cessazione delle misure cautelari a carico dei due Marò, consentendo loro di tornare in patria. Il Tribunale ci ha dato sostanzialmente ragione sul primo punto, demandando la cosa alla Corte dell’Aja. Ha invece respinto la seconda richiesta. Devo dire che non avevo mai creduto che potesse accoglierla e non sono affatto stupito e deluso perché non l’ha fatto. Molto semplicemente, non poteva perché sarebbe stato anticipare di fatto una decisione che, ripeto, spetta alla Corte dell’Aja.

Tutto bene, dunque? È troppo presto per dirlo. Vedremo cosa dirà l’Aja. Ma lo ripeto: siamo davanti al foro corretto, ci vada bene o ci vada male dovremo rispettarne le decisioni e smetterla di considerare questa triste vicenda come un pugilato tra Italia e India o, peggio ancora, tra Governi e un’opposizione sempre più sguaiata.

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Un Commento

  • Il problema rimane sempre la distruzione delle prove e le menzogne dei pescatori a partire dal 2 giorno (nel 1 giorno avevano detto la verità nell’intervista nel filmato indiano. Fatto avvenuto di notte e intravisto nero e rosso: era di giorno). L’India aveva già tentato nel 2014 di fare un processo usando l’inversione dell’onore della prova: primo vero processo dove l’Italia si è opposta. Ma se vi ricordate l’India per 3 anni ha spergiurato di avere prove certe e schiaccianti di colpevolezza e poi, la prima volta che inizia un processo sul serio (ma senza capo d’imputazione) chiede l’inversione (tipico dei paesi totalitari). ORA l’India non può più perderci la faccia. Anche se il T di Amburgo facesse fare il processo all’Italia, l’India li processerà in pochissimi giorni condannandoli senza esibire le prove (che sono distrutte) e poi l’Italia, se seguirà l’iter di un paese civile, senza prove ripetibili dalla difesa, annullerà il processo. La colpa sarà solo dell’Italia e l’India salverà la faccia di fronte alla sua popolazione. Ma tutti avranno perso a causa delle prove distrutte dall’India che non ricostruì mai i fatti (forse perché sapeva di mentire?) e la dinamica reale con lo scenario completo di altre navi presenti e con il dubbio del perché ai RIS italiani non fu permesso di presenziare all’estrazione delle pallottole, alle prove balistiche e all’ utopsia. Se tutto era così sicuro e lineare?

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