Italia, Paese sessista?
La società in cui viviamo è ancora profondamente impreparata alla libertà delle donne. Quando diciamo società intendiamo dire che anche noi donne siamo impreparate alla nostra libertà e alle sue conseguenze. Può sembrare un paradosso ma non lo è.
Non occorre molto tempo per comprendere lo stato negativo in cui si trova la donna nella società italiana. Ogni giorno i media riportano storie, tabelle, dati, sfilze di numeri che descrivono le donne ultime in tutto: in politica, negli uffici, nei ruoli di potere, nei consigli di amministrazione. Mogli sottomesse, lavoratrici discriminate, mobbizzate, donne che lasciano il lavoro alla nascita dei figli. Donne precarie senza uno straccio di legge che tuteli la loro maternità e i loro diritti.
Le statistiche riportano che le lavoratrici guadagnano, in media, il 26 percento in meno dei colleghi uomini, mentre questi ultimi hanno 81 minuti di tempo libero in più durante la giornata; e quindi è come se avessero due mesi di ferie in più rispetto alla donne. Bisogna poi considerare che più del 70 per cento degli italiani non sa neppure che certi comportamenti, largamente praticati dai datori di lavoro in Italia, sono illegali.
Spesso la prima domanda che viene fatta a una donna durante un colloquio di lavoro è: sei sposata, hai intenzione di fare figli? Negli Stati Uniti basta questo per ricorrere a un giudice e far partire una richiesta di risarcimento danni. E’ piuttosto comune, inoltre, che al momento dell’assunzione, alle giovani sia richiesto di firmare una lettera di dimissioni in bianco da utilizzare in caso di gravidanza. Del resto, il mondo della politica respinge e immobilizza le donne in un angolo: in circa il 20 per cento dei Comuni, delle Provincie e delle Regioni non c’è nemmeno un’esponente femminile. Nel Parlamento la presenza delle donne è inferiore al 20 per cento e questo dato ci colloca agli ultimi posti in Europa.
Naturalmente ci vuole molto tempo per cambiare la mentalità di un popolo, ma ci vogliono le leggi per intervenire su una cultura popolare secolare. Basti pensare a quanto sono recenti alcune di queste conquiste: l’abolizione del delitto d’onore è del 1981. Lo stupro è diventato un delitto contro la persona e non più contro la morale solo nel 1996.
Secondo Massimo Guastini, “creativo” pubblicitario e presidente dell’Art directors club italiano (Adci), che ha l’obiettivo di migliorare la comunicazione pubblicitaria in Italia, qualche responsabilità, in questo stato di cose, l’hanno anche la pubblicità e la televisione italiana tout court. “In un paese in cui gli individui si formano un’opinione sulla base di quello che trasmette la televisione, non può non influire una pubblicità nella quale la donna è una figura quasi sempre relegata a ruoli gregari, ancillari, decorativi o ipersessualizzati”. Spiega sempre Guastini, “la nostra pubblicità è, a detta di osservatori internazionali, tra le più sessiste del mondo e contribuisce a determinare stereotipi, cliché e conseguenti discriminazioni già nei bambini delle scuole elementari, come confermano anche recenti ricerche”. “I comportamenti indotti dalla pubblicità volgare e sessista sono talmente potenti che non solo le ragazzine, ma addirittura le donne mature, le quarantenni e le cinquantenni, si vestono come escort senza rendersene conto”, ha affermato il fotografo Ico Gasparri.
A danneggiare le lavoratrici vi è inoltre la riluttanza, da parte di amministratori e dirigenti tradizionalisti, ad offrire posti di lavoro part-time, quando in Europa si tratta di una formula molto utilizzata. Mentre i tassi di istruzione femminile continuano ad aumentare e i risultati accademici delle ragazze sono in costante miglioramento, è del tutto autolesionistico tarpare le ali proprio a quel 50% della popolazione da cui provengono i più promettenti segnali di dinamismo intellettuale.
Si tratta quindi di preparare la società nel suo insieme. Qui non si tratta di pari opportunità, ma di un cambio di civiltà, a cui tutte e tutti siamo chiamati a contribuire. Si tratta di un lavoro impegnativo e molto lento. Dovrà cambiare il racconto del mondo in cui viviamo e dovremo anche cambiare la forma di questo racconto. Per questo l’istruzione, la formazione, l’informazione hanno un’importanza fondamentale.