Cronache dai Palazzi
Immigrazione ed economia sono i fronti di combattimento più accesi in questo scorcio di fine estate. Si contano i migranti – ora distribuiti non più secondo delle “quote” da imporre ad ogni Stato bensì in base ad un sistema di conteggio che tenga conto degli arrivi effettivi, di alcuni criteri legati al Pil e di altri indicatori dello Stato sociale – ma si contano anche le tasse da tagliare per cui Bruxelles ha già espresso il suo aut aut. Incrociando i due temi, il premier Renzi sottolinea che l’Ue “quando c’è da parlare di immigrazione è in ferie, quando c’è da parlare di tasse si svegliano tutti insieme”. In sostanza “le tasse da tagliare le decidiamo noi, non Bruxelles” e il 16 dicembre “sarà il funerale della tassa sulla casa”, chiosa Matteo Renzi. Per le istituzioni europee, invece, sarebbe meglio alleggerire il carico fiscale che grava su lavoro e capitali, invece di ridurre le imposte sugli immobili. Il giudizio di Bruxelles è condiviso inoltre dalla Corte dei conti che di concerto con i massimi organi nazionali e internazionali (Banca d’Italia, Ocse, Fmi, Eurostat) riservano alle imposte patrimoniali l’ultimo posto nell’ostacolare lo sviluppo.
Ai microfoni di Rtl 102.5 Renzi ribadisce però il taglio delle tasse, come una mossa preelettorale. Ricorda il bonus degli 80 euro, la riduzione dell’Irap quest’anno e l’annunciato taglio dell’Imu agricola, mentre dal prossimo anno scompariranno Imu e Tasi, l’Ires (l’imposta sulle imprese) nel 2017 e nel 2018 “gli scaglioni Irpef”. In pratica saranno “5 anni di riduzione costante delle tasse”.
Il quartiere generale dell’Ue cerca a sua volta di smorzare le polemiche, tantoché la portavoce della Commissione agli Affari economici, Annika Breidthardt precisa che le misure fiscali del governo italiano inserite nella legge di Stabilità “saranno valutate in autunno e la valutazione sarà basata sui fatti, su quello che ci sarà e sulle previsioni economiche della Commissione di novembre”. Durante la riunione informale dei ministri dell’Economia, prevista in Lussemburgo l’11 e il 12 dicembre, potrebbero comunque essere abbozzate le linee generali delle finanziarie del prossimo anno.
In sostanza, per il premier Renzi l’Europa ha aggravato la crisi inducendo un aumento della pressione fiscale. Il cosiddetto Fiscal compact – la norma europea sulla riduzione del deficit e del debito – avrebbe danneggiato ancor di più l’Italia in un momento di massima vulnerabilità. Nuovi aumenti delle tasse, introdotti dai governi Monti e Letta, avrebbero aggravato la recessione già in atto. In pratica le politiche europee, sottolinea Renzi, hanno accelerato il crollo dell’economia, fino ad esasperare la situazione con la corsa verso il pareggio di bilancio. Per Bruxelles la mossa di tagliare la tassa sulla casa resta comunque una mossa infelice che secondo le istituzioni comunitarie potrebbe aggravare il rischio di un ulteriore innalzamento del deficit non facendo scendere il debito nemmeno di uno zero virgola. Anche se lo 0,7% di crescita per tutto il 2015 annunciata dal governo italiano e appoggiata dall’Istat – che certifica una ripresa trainata dai consumi delle famiglie nell’ultimo trimestre – dopo anni di austerity e di “compiti a casa”, potrebbe finalmente allentare la morsa Ue predisponendo le istituzioni europee a rivedere le previsioni in meglio, nonostante le ‘raccomandazioni’, che di certo non mancheranno anche quest’anno.
In definitiva entro il 20 settembre il governo presenterà al Parlamento la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Def) nella quale verranno esplicati eventuali aggiornamenti degli obiettivi programmatici stabiliti nel Def, per poi recepire le ‘raccomandazioni’ che saranno formulate dal Consiglio europeo. Successivamente, sulla base delle indicazioni suggerite nella Nota, il governo italiano presenterà, entro il 15 ottobre, il disegno di legge di bilancio e il disegno di legge di Stabilità, aprendo così la sessione parlamentare di bilancio che occuperà gran parte del dibattito.
Prima di quella data, il 15 ottobre, la senatrice dem Monica Cirinnà, spera di portare in Aula il disegno di legge sulle unioni civili che porta il suo nome, in pratica “dopo il ddl costituzionale e prima della legge di bilancio. Ma avendo ormai capito che la volontà ostruzionistica permane, si potrebbe anche andare in aula senza relatore”, afferma Cirinnà intervistata dal Corriere della Sera. Lega, Area popolare e Forza Italia sarebbero “i gruppi che fanno ostruzionismo”.
“Noi stiamo dando ampi segnali di disponibilità al dialogo, ma se vogliono superare i limiti della ragionevolezza non li possiamo seguire”, chiosa Monica Cirinnà che ribadisce l’obiettivo di istituire le unioni civili tra persone dello stesso sesso, specificando che la qualificazione “formazioni sociali specifiche” – mal digerita da certe fette dell’opinione pubblica – è stata attribuita al “nuovo istituto giuridico” semplicemente “su richiesta dei cattolici” e, comunque, “pone le unioni civili tra gli istituti di rango costituzionale”. Tutto ciò perché “i cattolici chiedono di ampliare la distinzione tra unione civile e matrimonio, eliminando alcuni legittimi rinvii al codice civile”. La senatrice dem ribadisce il “mandato” affidatole dal proprio partito: “a costruire l’unione civile dando alle persone dello stesso sesso i doveri e i diritti reciproci degli sposati. Diritti sociali fiscali e previdenziali, reversibilità e, punto fondante delle primarie di Renzi, la stepchild adoption”. Monica Cirinnà sottolinea infine che il suo ddl “costruisce una risposta complessiva a tutte le carenze di diritti che riguardano le coppie. Il titolo 1 istituisce le unioni civili tra persone dello stesso sesso, che acquisiscono quasi tutti i diritti degli sposati. Il titolo 2 riconosce diritti minimi alle coppie di fatto di persone conviventi more uxorio, omo o etero”.
Tra tensioni etiche, morali ed economiche si ragiona inoltre sulle pensioni. Gli under 66 potrebbero lasciare il posto di lavoro, uscendo dal ciclo produttivo in nome di una certa solidarietà intergenerazionale ricordata anche dal sottosegretario al ministero dell’Economia, Pier Paolo Baretta, in un’intervista sul Corriere della Sera: “Il lavoro va creato giorno dopo giorno. Ma se tutti restano in ufficio fino a 66 anni gli unici posti disponibili sono quelli aggiuntivi. E sappiamo come sia difficile averne di questi tempi. Un po’ di sostituzione tra anziani e giovani serve. Altrimenti il sistema non tiene”. In definitiva, il lavoratore che lascerà il lavoro prima dei 66 anni dovrà accettare un assegno più basso di quello previsto con la pensione piena.
Nel frattempo si consuma il dramma di circa 7mila insegnanti neoassunti in virtù del piano di assunzioni della Buona scuola, che dovranno presto decidere se abbandonare o meno la propria regione e andare anche molto lontano – soprattutto dal Sud e dalle isole verso il Nord – oppure rinunciare al tempo indeterminato per rimanere nel precariato. Se rifiuteranno l’assunzione, infatti, i docenti saranno esclusi dalle fasi successive di assunzioni. Per il ministro dell’Istruzione Giannini non è stato messo in pratica nessun “capriccio ministeriale”, al contrario, “il piano di assunzioni è stata una ragionata e responsabile visione del mondo della scuola”, ha sottolineato il ministro. Grazie alla possibilità offerta dal Miur di accettare entro l’8 settembre ancora la supplenza annuale (con assunzione formale fin da subito) molti insegnanti prenderanno comunque tempo, evitando così di trasferirsi su due piedi. Molte cattedre appena assegnate saranno quindi ricoperte, a loro volta, da altri supplenti. Tutto ciò “alla faccia della continuità didattica invocata dalla Buona Scuola”, come ha sottolineato Domenico Pantaleo della Flc Cgil.
Sullo sfondo, ma non in secondo piano, la questione immigrazione e il dramma legato ai profughi (siriani, curdi e non solo) che con le unghie e con i denti tentano di varcare i confini per raggiungere il cuore dell’Europa, e successivamente arrivare magari ancor più lontano. L’immagine del bambino curdo di tre anni, il piccolo Aylan Kurdi, morto sulla spiaggia turca in fuga verso il Canada – e la foto del padre disperato che nella tragedia in mare ha perso la moglie ed entrambi i figli di tre e cinque anni – ha scosso il mondo. È la dimostrazione che sono stati superati troppi limiti, nei confronti del bambino si tratta in particolare di un limite violato e non più riparabile. È la dimostrazione che è ormai ora di agire, perché non c’è davvero più tempo per aspettare di decidere. Le decisioni devono essere prese nell’immediato e, soprattutto, richiedono senso di responsabilità oltre che di solidarietà.
“Così tanti umani, così poca umanità”: è la frase lapidaria rimbalzata sui social, ma il problema non è semplicemente scuotere le coscienze. L’emergenza profughi richiede un’azione politica ben precisa, organizzata ma flessibile, che l’Europa tutta intera non può tardare a mettere in pratica. Ancor di più quando le previsioni prefigurano un esodo che durerà almeno altri vent’anni e richiederà, nello specifico, un’azione internazionale. L’allarme arriva addirittura dal Pentagono. “Dobbiamo affrontare sia unilateralmente che con i nostri partner questa questione come un problema generazionale, e organizzarci e preparare le risorse ad un livello sostenibile per gestire questa crisi dei migranti per i prossimi 20 anni”. A dichiararlo è il capo degli Stati maggiori riuniti degli Stati Uniti, il generale Martin Dempsey, intervistato dall’americana Abc. Dempsey ha inoltre auspicato che la drammatica fotografia del piccolo Aylan “abbia un effetto simile a quella del 1995 del mortale attacco con i mortai alla piazza del mercato di Sarajevo, che spinse verso l’intervento della Nato in Bosnia”. L’orrore sollecitò la comunità internazionale ad adoperarsi per trovare una soluzione efficace. Ci auguriamo tutti che anche stavolta sia così.