Tragedia immigrazione, di chi la colpa?

Chi fa giornalismo sa che una solo foto serve infinitamente più di mille parole scritte. È bastata la foto del piccolo Aylan morto sulla spiaggia per commuovere la coscienza mondiale e ora centinaia di commentatori, in ogni parte del mondo (anche in America Latina, dimenticando la completa indifferenza di quei governi alla tragedia dell’immigrazione) si sbracciano ad attribuire colpe a destra e a manca. Senza una parola per quelli che, giorno dopo giorno, lavorano duramente per salvare vite umane: come la nostra Marina Militare, degna veramente del Nobel per la Pace. E la colpa, com’è di moda, è dell’Europa, giudicata insensibile a un dramma epocale, o – poteva mancare? – della signora Merkel, colpevole di aver fatto un discorso di grande spessore umano.  O, per certi cinici esempi  della nostra bassa politica, il Governo italiano. Persino il Presidente turco Erdogan ci accusa tutti di “aver trasformato il Mediterraneo in una tomba”.  Ma stia zitto e si vergogni, per favore! Ché la Turchia è complice non secondaria dell’appoggio dato alla jihad sunnita, colpevole di crimini atroci e finora impuniti!

Per affrontare con serietà un argomento così tragico, occorre individuare le responsabilità e, se possibile, trovare i rimedi, che non consistono nello strapparsi le vesti o nel lanciare benintenzionati ma generici appelli alla solita Europa, non dicendo mai in concreto cosa l’Europa dovrebbe fare. Quanto alle responsabilità, vediamo chiaramente chi non ne ha: non ne hanno l’Italia, la Grecia, la Spagna, i Paesi del Nord d’Europa, non ne ha l’intera Unione Europea. Hanno reagito in ordine sparso, con enorme ritardo, facendo spesso prevalere i (comprensibili) egoismi nazionali, è vero. Ma non sono colpevoli di un esodo che non hanno fatto nulla per provocare. E incolpevoli sono certamente quei poveracci che, a migliaia, cercano di raggiungere l’Europa, ormai neppure più in cerca di lavoro o vita migliore, ma solo per fuggire alla guerra e alla morte.

La colpa, diciamocelo ben forte, è dei regimi di alcuni paesi del Medio Oriente che, come quello di Bashar Assad in Siria, sono nemici dei propri cittadini, o di quelli che, come l’Arabia Saudita, gettano dissennatamente benzina sul fuoco. Colpevoli sono i nuovi  barbari, nemici del genere umano, che massacrano e distruggono in nome di Allah. E colpevoli sono gli sciacalli che su questa tragedia imbastiscono lucrosissimi affari, trasportando a migliaia i migranti su scafi inaffidabili e inviandone una buona parte a una morte orribile. Ma colpevole, per difetto, è l’ONU, inerte di fronte a una tragedia di tali dimensioni. Però l’ONU non è un nume dal volto nascosto: a guidarla è il Consiglio di Sicurezza, in cui dominano cinque membri permanenti: perché paiono paralizzati e incapaci di qualsiasi reazione, pur di fronte a un fenomeno che rientra intero nelle previsioni del Titolo V dello Statuto? Certo, una certa opacità la stanno dimostrando gli Statiu Uniti, forse condizionati dalla riluttanza a impegnarsi in una nuovo conflitto sul campo (come non capirli?). Ma non dimentichiamo la colpa di Russia e Cina, due Potenze che fanno del cinismo al servizio dei propri calcoli la regola di condotta suprema.

È evidente che, in questo momento, tocca all’Europa agire. Diciamo subito che quella sorta di “Piano Marshall” europeo  per i paesi da cui origina l’immigrazione, che alcuni propongono, non ha senso: il dramma in quei paesi ora, molto più della povertà, sta nei conflitti civili e nei massacri della jihad, e il denaro dell’Europa finirebbe molto probabilmente nella tasche dei mercanti di morte. Anche la guerra a morte contro i nuovo trafficanti di schiavi, pur necessaria e giustissima, da sola non servirebbe. In realtà, l’Europa ha la scelta tra due strade: può rassegnarsi al fenomeno dell’immigrazione in massa di rifugiati dalla guerra e organizzare la loro accoglienza e integrazione nella nostre società, in linea con le proprie tradizioni umanitarie e civili, come chiede a gran voce Papa Francesco. Dopotutto, come ha ricordato la signora Merkel, l’UE è un insieme di più di 450 milioni di abitanti, che può assorbire qualche decina di migliaia di rifugiati. Ciò però richiede una  forte solidarietà tra tutti gli europei, che porti a un’equa ripartizione degli oneri. Sarà possibile? Il rischio è che questo problema provochi quello che neppure la crisi economica e finanziaria ha causato; l’esplosione dell’Europa in tanti pezzi, e sarebbe una tragedia ben più grave. Speriamo che la saggezza collettiva e la condotta di persone come la Merkel, Hollande, Mariano Rajoy  e Matteo Renzi, sappiano evitarlo.

La seconda strada è dare ascolto a quel ragazzo siriano che ha detto: “Se mettete fine alla guerra, resteremo a casa nostra”. Si, ma come farlo? È evidente che l’Europa da sola non ha né la volontà politica né i mezzi per un intervento militare su larga scala. Può solo premere con tutte le sue forze sull’ONU e, a difetto, sulla NATO, per un’azione collettiva cui partecipino le principali potenze militari. Fu fattoi negli anni Novanta per la Bosnia e poi per il Kossovo. È stato fatto, sia pure solo con azioni aeree, contro Gheddafi in Libia. È davvero impossibile ritentarlo?

In un modo o in un altro, una decisione si impone rapidamente. Nessuna delle due alternative è facile, ma il resto sono chiacchiere, facili speculazioni politiche e risse da cortile.

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