Renzi e l’Europa
La lettera del Presidente del Consiglio a La Repubblica dell’11 settembre va letta per le cose che dice e per quelle che non dice. Il tema dichiarato è quello dell’immigrazione. Renzi rivendica le ragioni della solidarietà umana, ricorda con orgoglio che l’Italia fu la prima e per molto tempo la sola a avvertire la gravità del problema e a cercare di ridestare l’attenzione europea e internazionale e ritiene un successo il fatto che alla fine ci si sia riusciti, anche se ammette che questo è dovuto soprattutto all’impatto delle terribili immagini di naufragi, di gente soffocata nei tir e, da ultimo, del piccolo Aylan morto su una spiaggia turca. Con ragione, il Premier ricorda che occorre affrontare il problema alla radice, cercando di estinguere i conflitti che causano la fuga in massa dei profughi. Si concentra soprattutto sulla Libia, il che è comprensibile.
Non dice però cosa si possa o si debba fare, a parte il risaputo richiano a una “soluzione politica”. Reclama un maggiore impegno europeo in Africa, e il ragionamento fila, ma ha due pecche. La prima: non è chiaro come possa applicarsi un piano di riabilitazione e progresso economico in zone in cui il problema centrale è la guerra civile, non il ritardo economico. La seconda è che, occuparsi dell’Africa non risolve il problema del Medio Oriente, ove impera il pericolo del Califfato. A quest’ultimo proposito, noto altra omissione nel discorso del premier, che non pare avallare l’uso della forza, pur necessario. In un’intervista a Porta a Porta, ha detto quello che l’Italia non farà (partecipare ai raid aerei), non quello che, pur nei suoi limiti, pensa di poter fare. O quello che dovrebbero fare gli Alleati, la NATO o l’ONU, per combattere il pericolo. In un articolo di qualche giorno fa sul Corroere, Franco Venturini invita il Premier a “non isolare l’Italia”. In parole più o meno chiare, sembra auspicare che l’Italia partecipi ai bombardamenti. Ho i miei dubbi su questo, dubbi tecnici prima ancora che politici: non credo che la nostra Forza Aerea abbia i mezzi per una partecipazione degna e significativa. Ma il Governo italiano dovrebbe almeno rendere chiara e concreta la sua solidarietà con gli Alleati che si espongono in prima persona e muoversi all’ONU per un’iniziativa davvero efficace.
La parte della lettera che più mi ha colpito è però quella che riguarda l’Europa. Ritengo Renzi un europeista convinto. Rispetto alla realtà europea di questi anni, però, si mostra critico. Rivendica la necessità di un’Europa più umana, più solidale, in cui il cuore conti quanto o più della ragione. Come dargli torto? Dove non lo seguo più è quando dice che, senza questa “umanità”, l’Europa non sarebbe che un noioso insieme di ragionieri e di regole finanziarie, un corpo grigio e senz’anima, alla fine inutile (chissà perché, mi risuona alle orecchie il discorso della “aula sorda e grigia”). Intendiamoci: che l’Europa debba avere anche una dimensione umana, solidale, un cuore pulsante, io ne sono più che convinto. Non si costruisce un grande ideale senza questo. Ma qualche volta vorrei che chi parla, a favore o contro, dell’integrazione europea,non dimentichi quali ne siano le ragioni originarie e quali ne siano, oggi più che mai, le ragioni concrete. L’Europa è nata per superare i conflitti fratricidi che per secoli l’avevano insanguinata e per ridare ai suoi abitanti il senso di appartenere a una comunità di valori, nella quale vige la libera circolazione delle persone, dei beni e delle idee, e sorge a poco a poco una cultura comune che non cancelli le culture nazionali ma sappia prendere il meglio di ciascuna di esse e fonderle in una civiltà condivisa.
Però non sottovalutiamo le ragioni economiche. Gli statisti dell’epoca ebbero chiaro che l’Europa, uscita sconfitta e distrutta dalla guerra, non avrebbe mai ritrovato la propria centralità nel mondo e la propria prosperità prebellica se non avesse unito le sue risorse. Grazie a quella intuizione, l’UE rappresenta oggi la prima economia del mondo, con una moneta che compete con il dollaro e in grado, per le sue dimensioni, di trattare da pari a pari con giganti come Stati Uniti, Russia, Cina, India. Che sarebbe di noi se andassimo avanti in ordine sparso con le nostre limitate economie e le fragili monete nazionali? Chi si sveglia un giorno sì ed uno no antitedesco, non pensa che forse l’unico paese in grado di sopravvivere in un mondo di colossi è la Germania? Che senza i suoi impegni e i suoi limiti europei essa ritornerebbe a essere davvero un pericolo per il resto dell’Europa? Gli imbecilli che dicono che alla Merkel è riuscito quello che non è riuscito a Hitler con i carri armati, dicono una evidente assurdità. Non sanno, o non ricordano, cosa fu il tallone di ferro del nazismo. Io ho, purtroppo, l’età per ricordarlo e se oggi i tedeschi ci vendono auto di classe e cercano di farci condurre una politica finanziaria seria, mi dico: ben vengano!
A tutto quello che l’Europa è adesso nel mondo, come forza economica, civiltà umana, diritti civili, si è giunti con lungo sforzo. Chi è nato dopo il Trattato di Roma, come i vari Salvini, non sa neppure quanto sia costato arrivarci, e con leggerezza è pronto a buttare a mare tutto quello che è stato faticosamente acquistato. Lo stesso è accaduto, sul piano nazionale, per quelli (sono, vedi caso, gli stessi) che a un certo punto hanno cominciato a mettere in questione le conquiste del Risorgimento e dell’Unità nazionale, spregiando le lacrime e il sangue che hanno costato e tentando di riportarci indietro a un’età di divisione e servitù. Forse è normale che questo ciclicamente avvenga, perché revisionismo storico e malafede (che spesso ne è l’altra faccia) sono una moda ricorrente. Ma chi pensa con la sua testa e ha viva la memoria storica deve opporvisi, con tutte le sue energie. E chi ci governa ha il dovere, pur nello stimolare l’Europa a far di meglio, di non metterne mai, mai, neppure in forma retorica e per amor di tesi, in causa l’esistenza e le ragioni. L’esempio migliore in questo senso è venuto (come mi aspettavo) dalla Germania della signora Merkel.
Renzi è un politico abbastanza sveglio da sapere a momenti seguire la corrente di un’opinione pubblica che ha scoperto la moda dell’euroscetticismo. Ma penso sia abbastanza responsabile da capire che non può permettersi di isolare l’Italia dalla grande corrente dell’integrazione che continua a scorrere più forte di quello che appare. Se lo facesse, magari solo per marcare qualche punto nell’opinione pubblica o nella dialettica tra europei, farebbe all’Italia un torto irreparabile.