Assad, si profila uno “scenario Gheddafi”?
E’ una crisi dal nefasto potere destabilizzante, quella siriana, in grado di irradiare i suoi effetti letali su un terreno assai più ampio del contesto di primavera araba in cui è inserita. I primi attriti intestini hanno origine nel 2011, con manifestazioni di protesta per indurre alle dimissioni il presidente Bashar al-Assad e demolire il regime monocratico del partito Ba’th. Le numerose iniziative anti-governative organizzate a livello nazionale assumeranno presto le vesti di conflitto civile nell’anno successivo, giungendo oggi ad una fase drammaticamente sanguinosa e violenta. Estremisti salafiti, sostenuti da alcune nazioni sunnite del Golfo Persico, formano la maggior parte delle milizie ribelli che avversano Assad e la dirigenza del suo partito, entrambi appartenenti alla comunità sciita, minoritaria in Siria. Mentre i fondamentalisti, animati dall’imperativo di instaurare nel paese la Shari’a, sono appoggiati da Turchia, Arabia Saudita e Qatar, il governo siriano fruisce dell’alleanza di Iraq e Iran, motivati a proteggere Assad per difendere l’esistenza di una macro area sciita in Medio Oriente, che si estenda fino al Libano. La particolare posizione geo-strategica della Siria e i suoi pessimi rapporti storico – politici col confinante Israele innescano un’altra cerchia sottostante d’alleanze e antagonismi, che spalma la questione su un palcoscenico mondiale, conferendo di diritto al Medio Oriente l’attributo di regione più “calda” del pianeta.
Sulla Siria e dalla Siria si proiettano – questa volta in ambito ONU – le mai sopite reciproche diffidenze, rivalità ed ambizioni espansionistiche dei grandi protagonisti della guerra fredda: parliamo di Stati Uniti e Russia e, naturalmente, dei loro rispettivi schieramenti. Washington, con Regno Unito e Francia, si colloca al fianco dei ribelli; Mosca, col sostegno del colosso cinese, si dichiara filo-governativa e fornisce a Damasco appoggio non solo diplomatico, ma anche militare. Sullo sfondo, a ravvivare lo scontro su vasta scala, spiccano le accuse al regime d’impiego d’armi chimiche contro la popolazione e d’utilizzo dei civili come scudi umani, mentre ai ribelli sono imputate stragi nei confronti delle minoranze religiose del Paese, sequestri, torture ed esecuzioni di soldati e semplici cittadini.
Dalla miscellanea di differenze religiose ed etniche, di cui si compone il tessuto sociale siriano, deriva sicuramente un quadro più frammentario e variegato di quello tout-court riportato; tuttavia, la disomogeneità è un fattore ben noto e tipico dell’area mediorientale ed ogni partita giocata in quello scacchiere ha un indice di pericolosità molto elevato. D’enorme importanza geografica, essendo – con la complicità del Mediterraneo – uno dei punti d’incontro tra Occidente e Oriente, nonché sede d’interessi di carattere commerciale (trasporto marittimo), energetico (petrolio, gas naturale, shale oil ovvero petrolio estratto da rocce di scisto bituminoso), politico e religioso (contrasti millenari con Israele), tutta la regione è suscettibile di amplificare al massimo qualsiasi avvenimento la riguardi, in particolare se di natura conflittuale. E’ come se l’alterco fra due individui, in quella parte del globo, calamitasse anche fratelli e cugini, e poi amici e amici degli amici, tanto da trasformare una piccola rissa in un’autentica faida senza fine.
Negli ultimi anni, a certe latitudini, abbiamo assistito ai crolli di alcune rigide dittature, favoriti anche e soprattutto da sotterranee “sponsorizzazioni” occidentali – dettate da obiettivi economici e politici sdoganati come esportazione di democrazia ed altre ipocrisie umanitarie – destinate a opposizioni interne e fazioni di rivoltosi. L’unico risultato ottenuto, e chissà se scientemente orchestrato, è stato quello di gettare nel caos più totale intere nazioni, lasciandole in balia di tragiche lotte tra i nuovi pretendenti al potere, spesso peggiori di chi li ha preceduti. Delle loro nefandezze, ne sono vittime le centinaia di migliaia di profughi, che ieri, oggi e domani hanno cercato, cercano e cercheranno salvezza in Europa, alimentando – loro malgrado – l’odioso e redditizio racket della tratta di esseri umani.
L’eventuale caduta di Assad regalerebbe la Siria ai fondamentalisti e all’Isis e potremmo trovarci nuovamente davanti a una replica dello scenario che è andato a delinearsi in Libia, dopo l’eliminazione del colonnello Gheddafi: un territorio senza controllo e senza regole, se non quella della prevaricazione dei più violenti, e flussi ancor più ingenti di fuggiaschi dagli orrori della guerra e della successione al potere, che finirebbero per mettere definitivamente in ginocchio l’istituzione stessa dell’Unione Europea, implosa sull’adozione di misure comuni per risolvere l’emergenza immigrazione e tuttora incapace di manifestarsi a se stessa e all’esterno come un organismo unico.