Meno suini, in calo produzione prosciutti Made in Italy
Dall’inizio della crisi sono scomparsi 600mila maiali dalle stalle italiane, rimpiazzati dalle importazioni di carni estera di bassa qualità per la produzione di falsi salumi italiani con il concreto rischio di estinzione per i prelibati prodotti della norcineria nazionale, dal culatello di Zibello alla coppa piacentina, dal prosciutto di San Daniele a quello di Parma, la cui produzione è calata del 13% dall’inizio della crisi nel 2008. L’importazione di carni estere da destinare a prosciutto crudo o cotto o speck è aumentata dell’8,5% nel 2014, rispetto all’anno precedente, con arrivi per il 31% dalla Germania, per il 19,4% dall’Olanda, per il 16,3% dalla Danimarca e il 9,4% dalla Spagna.
Ma nel 2014 è aumentato del 26,5% anche l’import di maialini che provengono soprattutto da Danimarca e Olanda. La chiusura forzata degli allevamenti è stata causata dall’impossibilità di coprire i costi di produzione, che sono risultati troppo alti con l’importazione di questa carne di bassa qualità e di basso costo. Questa insensata importazione è avvenuta allo scopo di ottenere prosciutti da vendere come Made in Italy, grazie alla mancanza dell’obbligo di indicare in modo chiaro in etichetta la provenienza. In Italia due prosciutti su tre, oggi, provengono così dall’estero senza che questo venga evidenziato chiaramente in etichetta.
Un inganno per i consumatori e un danno per gli allevatori italiani impegnati a rispettare rigidi disciplinari di produzione per realizzare carne di altissima qualità. In Italia nel 2014 sono state importate 62,3 milioni di cosce di maiali dall’estero destinate ad essere stagionate o cotte per essere servite come prosciutto o speck italiano, a fronte di una produzione nazionale di 23 milioni. In questo modo si rischia di compromettere in modo definitivo la potenzialità produttiva nazionale, con una destrutturazione degli allevamenti difficilmente recuperabile che mette in pericolo molte eccellenze del Made in Italy, per le quali si registra, nonostante la crisi, un aumento della domanda interna ed estera.
Insostenibili gli squilibri nella distribuzione del valore dalla stalla alla tavola: per ogni 100 euro spesi dai cittadini in salumi, ben 46 euro restano in tasca alla distribuzione commerciale, 24,5 al trasformatore industriale, 11,5 al macellatore e solo 18 euro all’allevatore.
In altre parole mentre all’allevatore i maiali sono pagati, in media, 1,4 euro al kg, il consumatore spende oltre 23 euro al kg per un prosciutto Dop. Una forbice troppo larga che danneggia i cittadini e costringe gli allevatori a chiudere le stalle. In Italia sono allevati meno di 8,7 milioni di maiali (erano 9,3 milioni nel 2008) destinati per il 70% alla produzione dei 36 salumi che hanno ottenuto dall’Unione Europea il riconoscimento di denominazione di origine (Dop/Igp). Il comparto della produzione di salumi e carne di maiale, dalla stalla alla distribuzione, vale 20 miliardi.
In questo contesto è a rischio il futuro di uno dei settori di punta della produzione agroalimentare nazionale dove trovano occupazione 105mila persone tra allevamento, trasformazione, trasporto e distribuzione.