Cronache dai Palazzi

La riforma del bicameralismo scavalca la Commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama – dove la presidente Anna Finocchiaro boccia gli emendamenti ostruzionistici precisando che non si discute la doppia lettura conforme dell’articolo 2 – e approda in Aula tra le proteste delle opposizioni che continuano ad avanzare migliaia di emendamenti ma che, alla fine, devono cedere di fronte ad una maggioranza, più che granitica, ostinata. In sostanza la maggioranza incassa 77 voti in più dell’opposizione.

Il cammino è però ancora lungo e accidentato e Matteo Renzi è ancora alle prese con un’intesa politica da raggiungere in casa dem – forse lunedì in Direzione – dove la minoranza non molla e soprattutto non intendere cedere sull’articolo 2, continuando a premere per l’elezione diretta dei senatori. Dietro le quinte trapela un eventuale emendamento che potrebbe introdurre un listino dei senatori, anche se non direttamente nell’articolo 2 del ddl Boschi come vorrebbe invece la minoranza dem. Un modo, quest’ultimo, per evitare una battaglia all’ultimo sangue, dagli esiti incerti, anche se la maggioranza è convinta della propria riuscita.

Così mentre il presidente Pietro Grasso invoca il “confronto leale” e la “reciproca comprensione” – e laddove si ironizza  sulla sostituzione del Senato con un museo ricorda che non si può “fare a meno delle istituzioni” – in Aula i senatori se le danno di santa ragione. Calderoli è pronto a paralizzare il Senato con una valanga di emendamenti e dichiara che “si stanno mettendo le basi per il ritorno del fascismo”. I pentastellati abbandonano la Commissione Affari costituzionali, ovviamente protestando, e Beppe Grillo invoca l’intervento del presidente della Repubblica – come del resto fa anche Gasparri nel pieno della bagarre – con un covo di giornalisti appostati di fronte a Palazzo Madama, i quali tentano di fare la conta dei voti prima del resoconto finale.

Nel frattempo la maggioranza tratta e soprattutto non si arrende. Arrivano così i voti dei verdiani, ormai lontani dalle fronde dei forzisti berlusconiani, mentre all’interno dell’Ncd si distinguono una decina di senatori, guidati da Quagliariello, che legano il voto sul ddl Boschi alla necessità di alcune modifiche da apportare all’Italicum. Alfano comunque avverte: “Ncd sarà unito. Non ci sono governi alternativi in questa legislatura: se cade questo si torna al voto”.

Da parte di Forza Italia l’opposizione sembra essere certa, anche se alcuni senatori sembrano optare per la non belligeranza. Tra gli ex fedelissimi c’è anche chi mette il dito nella piaga: “Trovo incredibile – afferma Sandro Bondi – l’atteggiamento di un partito come Forza Italia che prima vota la riforma e poi la accusa di incostituzionalità. Parole come scempio della Costituzione e ritorno del fascismo avvelenano la vita democratica”. Dalla minoranza dem, invece, Pierluigi Bersani assicura che “nessuno vuol far cadere il governo, ma bisognerebbe lasciare un pò di margine sui grandi temi al Parlamento”. In fondo la Costituzione è materia parlamentare non governativa. Tantoché l’esecutivo dovrebbe allentare la presa o almeno non avere la pretesa di dirigere i lavori. Questo è ciò che risuona dalle opposizioni, mentre il governo rivendica il fatto che in Italia si tentano riforme costituzionali da trent’anni senza aver ottenuto, fino ad oggi, nessun risultato. In verità dal 1989 in poi sono state approvate 13 leggi di revisione costituzionale che hanno permesso di correggere 30 articoli della nostra Carta e ne hanno abrogati 5. Se il sistema è ancora malato forse non dipende solo dall’approvazione delle riforme ma dalla politica italiana nel suo complesso.

In definitiva Matteo Renzi sembra voler trovare un’intesa ma senza ricominciare daccapo. “Io ho i numeri ma coinvolgerò la minoranza”, afferma il premier segretario con l’idea di cambiare solo il comma 5, per cui la ratifica dei senatori sarebbe affidata alle regioni. Nel caso si raggiunga l’accordo, auspicando nel contempo una ricompattamento del Partito democratico, entro l’anno potrebbe chiudersi anche il capitolo sulle unioni civili. Dato il caos provocato dalla riforma costituzionale, la riforma prefigurata dal ddl Cirinnà potrebbe in effetti oltrepassare il termine del 15 ottobre, data in cui comincerà in Senato la sessione di bilancio, rischiando così di slittare al 2016.

In definitiva Matteo Renzi è pronto a dialogare ma con i numeri in tasca, e sempre a patto che non si ritocchi l’articolo 2 del ddl Boschi passato con la doppia lettura conforme di Camera e Senato. “Sul resto siamo disponibili – sottolinea il premier-. Non solo sul nodo dell’indicazione dei consiglieri-senatori da parte dei cittadini, ma anche sulle funzioni del nuovo Senato e sull’elezione di due giudici costituzionali”.

L’operazione “chirurgica” potrebbe limitarsi al comma 5 dell’articolo 2, già modificato dalla Camera e quindi riapribile senza tante complicazioni. Altre ipotesi prevedono infine un intervento sull’articolo 35 – ipotesi caldeggiata da Finocchiaro e i costituzionalisti di Astrid – oppure l’introduzione di una norma che lasci alle regioni la libertà di regolare con una propria legge le modalità di selezione degli inquilini di Palazzo Madama.

L’incertezza regna però sovrana, mentre da Bruxelles le istituzioni europee premono affinché l’Italia rispetti i patti: le riforme in cambio della flessibilità. “La sola clausola delle riforme vale qualcosa come 8 miliardi da spendere”, precisa non a caso il ministro Maria Elena Boschi al Corriere della Sera.

Il commissario Ue agli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, in visita ufficiale nella Capitale, definisce comunque l’Italia “un grande Paese dell’Unione europea” e non più “un sorvegliato speciale”. L’Italia è un Paese “al quale si applicano le stesse regole che si applicano agli altri”. Inoltre “l’Italia sta facendo una serie di riforme che stanno avendo un impatto positivo sulla crescita, sull’occupazione e attirano investimenti”, afferma Moscovici anche se rimane l’alto debito pubblico che per l’Italia è “un fattore centrale”, oltreché di rischio. “Esamineremo la legge di Stabilità in base alle regole europee”, ricorda infine il commissario Ue sottolineando comunque che “senza riforme non c’è crescita né progresso sociale”.

Non c’è soluzione alla crisi che non sia corale, anche di fronte all’emergenza migranti. “Dobbiamo fare un salto politico – auspica Moscovici – e mettere in atto dei meccanismi efficaci di decisione e azione”. Se l’Europa, tutta insieme, si dimostrerà in grado di gestire questa crisi ottenendo anche dei “risultati in campo economico” ci sarà più fiducia nell’avvenire, “altrimenti ci saranno dei partiti di estrema destra e sinistra che proporranno lo smantellamento della Ue”. Moscovici giunge ad una conclusione di questo tipo – condivisa tra l’altro da ampie fette dell’opinione pubblica – lanciando l’allarme: “O si cambia o si muore”.

Intanto l’Italia si prepara a presentare alle istituzioni europee una manovra da 27 miliardi di euro – è questo l’ammontare previsto per la prossima legge di Stabilità – prevedendo, tra le misure principali, la cancellazione dell’aumento dell’Iva per 16,8 miliardi e l’abolizione della Tasi sulle prime case che vale 3,5 miliardi di euro. Il governo ribadisce infine l’eliminazione dal primo gennaio del 2016 dell’Imu agricola e dell’Irap in questo settore. Un provvedimento, spiega il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, che vale “un miliardo” ed è “un impegno senza precedenti per il sostegno al reddito degli agricoltori”.

Per quanto riguarda gli esodati, invece, il governo non prevede modifiche alla riforma Fornero ma “sta valutando la possibilità” di “un nuovo provvedimento di salvaguardia”. In ogni modo si esclude l’introduzione di criteri di flessibilità sulle pensioni in uscita. “Una modifica  strutturale del sistema andrebbe contro i principi di sostenibilità del sistema stesso”, ha sottolineato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan specificando che la flessibilità avrebbe “oneri rilevanti e strutturali per la finanza pubblica”. Anche l’anticipo della pensione da parte di alcuni genererebbe costi per i conti pubblici destinati a “manifestarsi nell’immediato”, obbligando così il governo a trovare delle coperture oltre a quelle già preventivate e quindi necessarie.

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