Riapre la galleria dei Carracci a Palazzo Farnese

Roma – Dopo 12 mesi a porte chiuse, la Galleria di Palazzo Farnese ha riaperto al pubblico. Al deterioramento nel corso dei secoli, risultante in infiltrazioni, fessure, e annerimento dei dipinti, si è risposto con il primo restauro conservativo completo. La volta a padiglione e le pareti ci sono state riconsegnate, con affreschi e stucchi risanati, e con l’aggiunta di numerose novità.

Dodici mesi sono un tempo da record per un intervento simile, per cui ci si batteva da 6 anni. Necessaria è stata la collaborazione tra MiBACT e l’Ambasciata di Francia, che ha lì sede dal 1936, come del resto il rigore scientifico, nel quale i Restauratori di Beni Culturali (tutti diplomati in Scuole di Alta Formazione) e un team tecnico-scientifico altrettanto specializzato hanno confermato la loro eccellente preparazione e capacità. Sono stati 26 i restauratori italiani appartenenti a 6 imprese riunite nell’Associazione Temporanea di Imprese Farnese (ATI Farnese) e selezionate nel gennaio 2013 dopo una gara d’appalto internazionale.

A finanziare i lavori sono stati con 200mila euro la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Roma, e con un contributo di 800mila euro il World Monuments Fund. I primi hanno sovvenzionato gli studi preliminari, mentre il secondo la messa in atto del cantiere vero e proprio. In particolare è da riconoscere il merito al Presidente dell’Organizzazione Internazionale citata, Bertrand du Vignaud, il quale si è battuto per la raccolta fondi, ottenuti metà negli USA da parte del Robert W. Wilson Challenge e metà in Francia dalla Fondation de l’Orangerie.

Ma passiamo ai circa 600m² di superficie della Galleria, all’interno del Palazzo voluto a fine 1400 dal Cardinale Alessandro Farnese (futuro Papa Paolo III). Alla mappatura, al consolidamento e alla messa in sicurezza, è dunque seguita la pulitura attraverso l’applicazione e la tamponatura, con una spugna imbevuta d’acqua, della carta giapponese, tecnica impiegata anche nella Cappella Sistina.

La progettazione integrativa sul campo ha continuamente affiancato il lavoro sui ponteggi, fondamentale nel caso del “modus operandi di uno straordinario maestro, Annibale Carracci, tanto geniale quanto ribelle a ogni convenzione e tradizione e, in fin dei conti, poco studiato” – come rivela Paolo Pastorello Presidente dell’Associazione Restauratori senza Frontiere e titolare di Studio C.R.C., l’impresa capogruppo della ATI Farnese.

Tra il 1597 e il 1600 ha qui operato Annibale Carracci (Bologna, 1560-Roma, 1609), con il supporto del fratello maggiore Agostino e dei suoi aiuti (tra i quali ricordiamo il Domenichino e il nipote Antonio Carracci). L’opera raffigura il dominio universale dell’Amore, nel desiderio di suggellare le nozze tra Margherita Aldobrandini, nipote di Papa Clemente VIII, e Ranuccio Farnese. Annibale si spese maggiormente sulla volta, dove riconosciamo chiaramente due scene realizzate dal fratello, mentre le pareti vedono la larga partecipazione degli aiuti.

In quest’opera della maturità della sua carriera, è notabile lo stile che Annibale Carracci ebbe modo di sviluppare nella Capitale, caratterizzato da grande monumentalità, disegno nitido, solidità compositiva, idealità di forme. A contatto con l’opera di Raffaello e l’arte antica, il Maestro elaborò grandi composizioni con semplicità classica e libertà inventiva, perseguendo un’armoniosa sintesi tra mondo naturale empirico e tradizione classica. Al picco del suo classicismo eclettico, radicalmente contrapposto al gusto manieristico, si proponeva di restaurare il classicismo cinquecentesco, aprendo le porte al barocco imminente.

La pulitura ha portato frutti addirittura insperati, dalla più ovvia luminosità originaria delle cromie, previa rimozione della patina bruna, alla favolosa scoperta di una novantina di date e firme settecentesche. Gli artisti che si recavano in visita per ragioni di studio lasciavano traccia di sé, a volte anche con disegni a grafite o sanguigna; è questo il caso del noto caricaturista della prima metà del ‘700, Pier Leone Ghezzi. Nello stesso flusso conservativo, si è deciso di mantenere gli interventi condotti sulle pareti da Carlo Maratti nella seconda metà del Seicento durante il primo restauro. Del resto, nel periodo 1993-1994 il secondo restauro si era limitato al consolidamento degli intonaci.

La pulitura non avrebbe potuto essere operata con maggior cura e attenzione: tecniche diverse sono state elaborate in relazione alla natura della stesura dei pigmenti, taluni dati a fresco, ai quali altri a secco sono stati sovrapposti. La padronanza dell’Artista emiliano è risultata più che mai evidente; ne è esempio il ciclo del Trionfo di Bacco e Arianna, in cui il tratteggio in azzurrite è steso a secco su fondo dato a fresco in smaltino, a base vetrosa. Il tratteggio ritorna nelle ombre, unitamente a puntini rotondi.

La luminosità ha toccato anche per gli stucchi del 1603 di Giacomo da Parma, ora liberati dagli strati manutentivi che avevano ricevuto a più riprese durante i secoli, e riconsegnati al materiale in buono stato di conservazione. L’installazione di un nuovo impianto d’illuminazione ne potrà solo migliorare la resa. Inoltre, le 10 copie in gesso di calchi dei marmi farnesi, realizzate nel 1970 dal formatore Bourbon, sono state anch’esse restaurate e ricollocate all’interno delle nicchie secondo la disposizione degli originali.

Si è infine proceduti con il risanamento delle fessurazioni, prima tra tutte quella che attraversava in lunghezza l’intera volta. I 1.300 perni a T inseriti dal Maratti a rinforzo dell’intonaco a rischio di caduta, chiamati “grappe” negli scritti del Bellori, sono stati lasciati quasi tutti in sede e ristuccati.

©Futuro Europa®

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