Def, davvero tutto rose e fiori?

“Nel 2015 abbiamo svoltato, l’anno prossimo dobbiamo accelerare”. Il premier Matteo Renzi presenta così il Def (Documento di economia e finanza) al termine del consiglio dei ministri: “Oggi molti indicatori dicono che l’Italia è ripartita e il Def non può che fotografare lo stato dell’arte. C’è una crescita più alta rispetto alle aspettative, meno 40 per cento di cassa integrazione, più posti di lavoro stabili, più turismo, più consumi”. Il governo ha intenzione di alleggerire la pressione fiscale, Renzi lo ha già annunciato in più occasioni: via la tassa sulla prima casa e meno imposte per le aziende al fine di attirare investimenti stranieri.

La pressione fiscale cala dopo molti anni, passando dal 43,1 per cento del 2014 e del 2015 al 42,6 per cento previsto per il 2016. Le previsioni sono al ribasso anche per gli anni seguenti: 42,3 per cento nel 2017; 42,2 per cento nel 2018; 41,9 per cento nel 2019.

Tutto rose e fiori? Macché. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio il Pil per il biennio 2017-2018 è stato sovrastimato. Il quadro delineato dal Ministero dell’Economia e Finanze per il 2015 e 2016 è tendenzialmente in linea con le stime dell’Upb (Ufficio parlamentare di bilancio) ma “i fattori di rischio insiti nel tendenziale divergono maggiormente negli anni successivi”. In buona sostanza il governo è troppo ottimista è prevede una crescita dell’1,3 per centro nel 2017-2018, mentre per l’Upb, al massimo, il Pil aumenterà dell’1,2 per cento. “Il quadro macroeconomico tendenziale del Mef – si legge nella nota di aggiornamento dell’Ufficio parlamentare di bilancio – appare in linea per gli anni 2015-2016 con le stime dei previsori del panel Upb. In tale biennio, il principale fattore di rischio riguarda la crescita del Pil nel 2016 che, pari a 1,3 per cento, si colloca al limite più elevato dell’intervallo delle stime dei previsori del panel Upb”.

I fattori di rischio aumentano negli anni successivi. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio la crescita del Pil stimata dal Mef (1,3 per cento) è troppo alta. Il risultato dipenderebbe dalla dinamica dei consumi delle famiglie che risulta nelle ipotesi Mef “significativamente al di sopra del limite superiore dell’intervallo dei previsori”. Per arrivare al Pil auspicato dal governo, in parole povere, servono stipendi più alti, meno tasse e più lavoro. Sull’abolizione della Tasi che grava sull’abitazione principale ne abbiamo già parlato. Una tassa impopolare che ha un valore più simbolico che altro, considerando che la gabella pesa relativamente sul bilancio annuale di una famiglia che, comunque, sarà contenta di non pagarla più. Il governo Renzi mira ad introdurre anche delle misure di contrasto alla povertà e di stimolo all’occupazione. Un focus particolare anche sugli investimenti privati, passando dall’innovazione, all’efficienza energetica, fino alla rivitalizzazione dell’economia meridionale.

Infine è previsto un sostegno alle famiglie e alle imprese attraverso l’eliminazione dell’imposizione fiscale sulla prima casa, i terreni agricoli e i macchinari cosiddetti “bullonati”. La strada potrebbe essere quella giusta: solo diminuendo la pressione fiscale sulle imprese si può sperare che i grandi gruppi stranieri tornino ad investire in Italia, piuttosto che continuare a abbandonarla per Paesi con un fisco più sopportabile.

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