Deflazione, come e perché in Europa
La parola deflazione è una delle più in voga negli ultimi tempi, se gli anni ’80 erano stati caratterizzati da una inflazione a due cifre con conseguente scala mobile motivo di eterne discussioni tra governi e parti sociali, la crisi economica ha portato alla luce il suo contrario. Cercando di chiarire quanto più possibile, anche semplificando all’eccesso, l’oggetto nasce da un indice, che in Italia viene calcolato dall’Istat ed in Europa dall’Eurostat, che va a misurare e quantificare la variazione dei prezzi al consumo. Quando i prezzi aumentano si parla di inflazione, quando diminuiscono invece di deflazione, i motivi e le conseguenze sono decisamente diversi.
L’inflazione si presenta in periodi di crescita economica, porta quindi ad aumenti salariali, che peraltro avvenendo sempre a posteriore rispetto l’aumento dei prezzi, non possono compensare l’aumento del costo della vista. Se si riscontra una leggera crescita del valore inflattivo, la BCE pone il valore ideale al 2%, siamo in presenza di una economia sana in espansione, con prezzi e salari in salita e profitti delle aziende in salita. Quando si vive in una crisi economica i consumatori, che sono influenzati in maniera importante da fattori emotivi anche slegati dalla realtà macro-economica, tendono a ridurre la propensione al consumo, risentendo di una precaria stabilità del lavoro e del relativo monte salari in calo. In questa situazione caratterizzata da cassa integrazione e disoccupazione, la propensione al consumo declina quindi in maniera drammatica e porta a spendere il meno possibile rimandando tutte le spese non strettamente necessarie (ricordiamo il crollo del mercato dell’auto). Le aziende si trovano merci invendute e la loro produzione diventa eccessiva rispetto alla domanda del mercato, sono quindi costrette a calare i prezzi dei propri beni al consumo. Qui si avvia un circolo perverso per cui il consumatore vedendo i prezzi in discesa rimanda ulteriormente i propri acquisti supponendo di poter spuntare prezzi migliori in un prossimo futuro, i prodotti si accumulano sugli scaffali, le aziende vedono decimati i propri utili e vengono costrette a ridurre i fattori produttivi aumentando il numero dei disoccupati e/o cassintegrati.
Ora prendiamo in esame il caso specifico della Germania, da più parti attaccata ed accusata per le sue politiche economiche. In realtà, anche se i politici amano soprassedere su queste tematiche, circa 300 miliardi di aiuti UE sono andati ai Paesi in crisi, verso di questi la Germania aveva le sue banche esposte per importi considerevoli, 315 miliardi di dollari verso la Spagna, 240 con l’Irlanda, 51 al Portogallo ed infine 41 verso la povera Grecia. I soldi versati sono stati sborsati solo per il 30% da parte dei tedeschi e sono serviti a rimborsare i prestiti erogati dalle banche tedesche che, altrimenti, si sarebbero rivelati inesigibili. Tutto questo non è stato fatto a costo zero per i riceventi, ma ad un tasso di interesse del 5%, che in tempi di tassi obbligazionari attorno allo 0% se non addirittura negativi, rappresentano un pacchia per il creditore. Questo semplice calcolo matematico dimostra che i tedeschi pur lamentandosi tanto degli aiuti versati a i Paesi del ventre molle europeo, in realtà hanno lucrato un bel 5%, ed essendo azionisti al 30% della BCE si tratta di 1,5 miliardi di euro entrati nei forzieri teutonici.
Un paio di ultime considerazioni, decisamente importanti sono da aggiungere a questo contesto, in caso di inflazione la moneta viene svalutata, allo scoppiare della crisi i floridi risparmiatori tedeschi hanno prontamente tirato i remi in barca riportando i loro euro sui propri conti correnti remunerati a tasso 0, una pur minima inflazione avrebbe eroso i risparmi, da qui facile dedurre perché anche solo sentir parlare di inflazione fa drizzare le orecchie dalle parti di Berlino. Quando si verifica una svalutazione, il valore del denaro si deprezza sfavorendo i creditori, a cui rientrano i prestiti erogati in moneta che ha intanto assunto valore inferiore. Per contraltare aiuta i debitori che devono fare meno fatica a rimborsarli. Non per niente la BCE considera, come detto, auspicabile un tasso inflattivo del 2% per aiutare i paesi in difficoltà a rimborsare i prestiti ricevuti ed a risanare i propri bilanci. Emblematico il caso dell’Italia, con un debito pubblico colossale, guarda con ansia all’arrivo di un minimo di tasso inflattivo. La deflazione invece favorisce i creditori, quindi in questo caso i tedeschi, il che spiega chiaramente perché il loro impegno a cambiare l’ordine delle cose non vada oltre qualche generica affermazione di principio, sempre che i debitori non si trovino così in affanno da non riuscire più a rimborsarli, e qui si dovrebbe cominciare a parlare di Quantitative Easing come rimedio alla deflazione e della Grexit, ma questa è un’altra storia.