Il labirinto siriano

Quello che si è creato in Siria è un labirinto senza apparenti vie d’uscita. A renderlo tale, sta il fatto che in gioco ci sono molte forze in conflitto tra loro e non è facile orientarsi e scegliere amici e nemici. Alcune sono manifeste: il Governo di Bashar Assad, il Califfato islamico, Al-Qaeda, i peshmerga curdi, l’opposizione “democratica” nella sua tante varianti; al margine operano altri giocatori: Stati Uniti, Russia, Iran, Turchia, Arabia Saudita, Paesi del Golfo e forse anche altre forze più oscure.  Al fondo di tutto, al di là del fanatismo che vorrebbe distruggere l’Occidente e i suoi valori e anche i regimi arabi laici, vi è il conflitto tra sciiti e sunniti, i primi appoggiati all’Iran e alla maggioranza irachena (ma anche Assad, alauita, appartiene ad una setta di osservanza sciita), gli altri fanno riferimento alla Turchia, all’Arabia Saudita e ai Paesi del Golfo. La posta non è solo religiosa (anche se questo fattore conta), è geopolitica. Si tratta di assicurarsi il controllo di un’area strategica chiave.

Che dovrebbero fare gli occidentali per uscire dal labirinto senza le ossa rotta? Saggiamente è stato escluso un intervento militare sul terreno, che avrebbe proporzioni e costi enormi  ed esiti incerti. Stati Uniti, Inghilterra e ora Francia, hanno scelto la strada dei raid aerei a sostegno dei peshmerga. Altri, come l’Italia e la Germania, dichiarano di non voler prendervi parte, pur aiutando i curdi in vari altri modi. È improprio criticare chi mette in gioco le proprie forze aeree,  ma anche chi non può o non vuole farlo, per ragioni politiche e, francamente, anche tecniche, che solo il partito preso dei vari Salvini può comodamente ignorare (ma, a proposito: la Lega non è la stessa che fece fuoco e fiamme per bloccare la partecipazione italiana agli attacchi in Libia?).

Servono  qualcosa i raid? Certamente sì, se facilitano la necessaria azione di forze amiche sul terreno. Sono sufficienti? Chiaramente no. È giusto appoggiare in questo e altri modi (come fa anche l’Italia) i combattenti curdi, anche contro la volontà dell’alleato turco? Sicuramente sì. Basterà? Non credo.

La situazione sul terreno ha visto in questi mesi formarsi un asse che unisce Badhar Assad, l’Iran e la Russia, e al quale dà segni di volersi unire anche il governo iracheno a maggioranza sciita. L’Iran ha inviato anche milizie combattenti nella regione, la Russia ha fornito consistenti aiuti militari e forse anche consiglieri al regime siriano, priva com’è delle remore politiche degli Occidentali. Non si può negare che vi abbia un interesse. Non si tratta solo di difendere un regime storicamente amico e alleato, ma di assicurarsi la base navale di Tartous sulle coste siriane, l’unica di cui la Russia possa disporre nel Mediterraneo. Difficile pensare che dal labirinto si possa uscire senza un accordo di fondo tra Occidentali, Russia e Iran. Il nodo sembra sia nelle rispettive posizioni riguardo ad Assad, per Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia un tiranno sanguinario da eliminare, per Mosca e Teheran un governo legittimo da aiutare. Con queste premesse, un accordo parrebbe impossibile. Ma in guerra si tratta di definire chiaramente le priorità e spesso di scegliere, non il bene assoluto, ma il male minore (se così non fosse, non ci sarebbe stata l’alleanza di Stati Uniti e Inghilterra con l’URSS nella Seconda Guerra Mondiale). Oggi la priorità è abbattere il mostro della jihad e, per quanto indigeribile da uno stomaco occidentale, Assad rappresenta il minor male e senza di lui è difficile pensare di poter fare cose utili. Se gli occidentali lo capiscono hanno la possibilità di contribuire a mettere in piedi finalmente una coalizione efficace per combattere e alla fine distruggere il nemico numero uno.  E poi per avviare una soluzione pacifica e negoziata al problema siriano, evitando un salto nel buio del tipo libico. Altrimenti continueremo nel labirinto, con azioni parziali e unilaterali e vani tentativi di mediazione dell’ONU (il bravo Staffan de Mistura mi pare davvero un vaso di coccio tra vasi di ferro).

Se ha saputo fermarsi sull’orlo di un disastroso attacco aereo alla Siria e se è stato capace di sciogliere il difficile nodo del nucleare iraniano, Obama è il solo leader mondiale in grado di farci uscire dal labirinto siriano. Capisco i suoi problemi: ci sono vecchi steccati e radicate diffidenze da superare e il comportamento di Putin su altri punti dello scacchiere rende tutto più difficile. Capisco anche che la presenza russa a Tartous disturbi la NATO e l’affermarsi dell’influenza iraniana nel Medio Oriente tolga i sonni a Israele, Turchia, Arabia Saudita e non solo. Ma, come ho detto più sopra, si tratta di avere chiare le priorità e agire in conseguenza.

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