Intercettazioni, pro e contro

Le scorse settimane, il Parlamento ha approvato la legge delega che rimette al Governo la definizione delle norme riguardanti le intercettazioni telefoniche e ambientali. Si tratta di regolarne l’uso e i limiti, ma anche – e forse soprattutto – di intervenirte sul delicatissimo tema della loro pubblicazione sui mezzi d’informazione. È su questo punto che, di fronte a una delega abbastanza ampia data al Governo, si è scatenata la prevedibile canea di chi, senza aver neppure un’idea di quello che dirà il testo governativo, grida già al diritto d’informazione violato e addirittura al “bavaglio alla stampa”. Ci si sono distinti i soliti grillini, mentre questa volta l’opposizione di destra sta zitta, visto che i limiti alle intercettazioni e alla loro diffusione a mezzo stampa sono da tempo suoi cavalli di battaglia. Ma ho letto anche su giornali solitamente seri deliranti articoli che parlano di democrazia vulnerata. Tutto questo, ripeto, prima di sapere cosa dirà il testo di legge.

La questione è delicata e va trattata con speciale spirito di equilibrio. Le intercettazioni violano il fondamentale diritto alla “privacy”, ma l’esperienza quotdiana insegna che esse sono uno strumento prezioso, e in realtà ineliminabile, d’indagine, attraverso il quale si sono scoperti delitti che sarebbero altrimenti rimasti sconosciuti e impuniti. Di fronte al superiore interesse della Giustizia, è dunque accettabile che ceda un po’ il passo anche la privacy. Questo succede dovunque, nel mondo civile. Ma dovunque lo strumento è strettamente regolato e limitato. Dovunque, tranne che da noi.  Eppure è elementare capire che un mezzo d’indagine così invasivo non può essere usato senza controlli e senza limiti, essere esteso a 360 gradi, anche prima di una “notizia di reato”, solo per “pescare alla cieca”. Tra l’altro, perché costa un sacco di soldi alle casse dello Stato. La lunga e costosa inquisizione sulle serate allegre di Berlusconi, risultate poi, anche se moralmente squallide, penalmente irrilevanti, ne è un esempio eloquente. Perciò è sperabile che il testo di legge protegga il mezzo (osservo che limitarlo a particolari tipi di reato, come voleva un vecchio progetto Alfano, non ha nessun senso), ma circondandolo di tutte le ragionevoli garanzie, sia per quanto riguarda le necessarie autorizzazioni, sia per quanto riguarda i limiti di tempo.  Capisco che al Governo non sarà facile trovare il punto di equilibrio, senza scatenare accuse  grillesche e magari leghiste di connivenza con i delinquenti. Ma è suo dovere provarci. E il Ministro Orlando ha dato fin qui prove di un certo buon senso. Stia attento a non gettar via il bambino con l’acqua calda!

Ma il punto chiave, il punto candente, su cui il Governo non può non intervenire, è quello della pubblicazione sui mezzi d’informazione. Su questo terreno, il diritto all’informazione non si  scontra solo con quello, già menzionato, della privacy, ma con il principio del segreto istruttorio. Quando studiavo Procedura Penale alla Sapienza (con Giovanni Leone, immaginate!), lo si considerava un principio assoluto, che nessuno avrebbe potuto  violare, meno che mai giudici, avvocati o cancellieri, se non esponendosi al più duro dei castighi. A me pare abbastanza semplice da capire: finché gli atti processuali, intercettazioni comprese, sono coperti dal segreto istruttorio,  come deve essere norma in qualsiasi società civile, la loro rivelazione da parte di chi ne è in possesso (spesso i colpevoli sono alcuni sconsigliati PM), è un delitto da perseguire. Nel pubblicarli, i giornalisti, invece, fanno  il loro mestiere, la loro colpa dovrebbe essere perseguibile solo in via civile e a querela di parte (apriti cielo se si cominciasse a mandare in galera qualche addetto ai mezzi d’informazione!). Il divieto di rivelazione di segreto d’ufficio è presente in tutti i codici del mondo e, nel caso di cui si parla,  risponde a un elemento basilare di civiltà: i processi si fanno in tribunale, non sulla stampa e per di più sulla base di informazioni frammentarie e non sempre concludenti, ma che servono intanto a sommarie condanne da parte dell’opinione pubblica, quasi sempre irreversibili. Poi, iniziata la fase dibattimentale, quando il segreto istruttorio è tolto, ogni divieto deve scomparire, perché a quel punto il diritto all’informazione ritorna a essere prevalente. Fin qui, stiamo parlando di intercettazioni che riguardano autori, veri o presunti, di delitti. Ma talvolta i testi riguardano anche persone e circostanze del tutto estranee ai fatti oggetto d’indagini e capitate nella vicenda per puro caso. La loro divulgazione è, ancor più in questo caso, un atto di assoluta inciviltà. Il divieto dovrebbe essere assoluto e la punizione, penale e civile, esemplare.

Come spesso accade, sono cose che in Italia sembrano stare sulla Luna, ma che in qualsiasi altro Paese dell’Occidente, Europa e altrove,  sono pacificamente accettate e rispettate. Perché dobbiamo essere noi, sempre noi, diversi? Il Governo si assuma le sue responsabilità. E lasci strillare le solite menadi, ANM compresa. Una buona legge sarà un passo avanti sulla via della civiltà del nostro Paese.

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