Italia, l’economia sommersa vale almeno il 20% del PIL

L’Italia ha la sesta economia sommersa dell’area Ocse dopo Turchia, Estonia, Messico, Grecia e Polonia. È quanto emerge da uno studio dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico  sulla piccola e media impresa italiana.

L’Istat dà nuove stime sull’economia sommersa e quella illegale: secondo l’istituto di statistica, insieme valgono la bellezza di 200 miliardi tondi, ovvero più del 12% del Pil. Nel 2014 sono state controllate 221.476 aziende, nelle quali sono affiorati 77.387 rapporti di lavoro non denunciati; nei primi sei mesi del 2015, invece, su 106.849 realtà produttive passate al setaccio sono stati individuati circa 31.394 occupati totalmente in nero.

Secondo i professionisti del settore, perciò, a fronte di 6 milioni di imprese registrate alle Camere di Commercio nel secondo trimestre del 2015 (certificate da Unioncamere- movimprese) e di un milione di altri organismi che non risultano iscritti – visto che nel 30% di aziende ispezionate è presente il lavoro nero – la stima nazionale è di oltre 2 milioni di soggetti attivi in maniera del tutto irregolare. L’economia dell’illegalità, invece, ovvero lo spaccio di droga, la prostituzione e contrabbando, vale circa 15,5 miliardi.

Queste stime sono servite all’Istat per ricalcolare il Pil dell’Italia secondo il nuovo Sistema europeo dei conti e altri cambiamenti. Ovviamente, questi rapporti di forze cambiano se si prende in considerazione il Sud. Qui il sommerso incide per il 27% sul Pil e l’economia illegale/criminale per circa l’11 per cento. C’è anche un problema culturale in alcuni casi: “Il sommerso – ha sottolineato Maurizio Vallone, Direttore del Servizio di Controllo del Territorio del Dipartimento di Pubblica Sicurezza di Roma – in una realtà come quella campana e napoletana in particolare, dà sempre la sensazione di essere una “regola” accettata, o almeno sopportata non solo dalla società “per male”, ma anche da quella che solitamente si definisce “per bene”.

L’Eurispes ipotizza anche che almeno il 35% dei lavoratori dipendenti “sia ormai costretto ad effettuare un doppio lavoro per far quadrare i conti e arrivare alla fine del mese. Questo vuol dire che sono almeno sei milioni i doppiolavoristi tra i dipendenti che, lavorando per circa quattro ore al giorno per 250 giorni, producono annualmente un sommerso” di quasi 91 miliardi di euro.

Nessun dubbio sul fatto che il problema caratterizza – pur con pesi e conformazioni diverse – tutti i principali Paesi del Vecchio continente. Con delle differenze: infatti, nonostante le operazioni di contrasto messe in atto da magistratura e forze dell’ordine, il peso del fenomeno sul nostro Pil è stimato tra il 17 e il 21% contro il 13% del dato tedesco. Ma non finisce qui. Secondo una simulazione di Srm, se l’Italia riuscisse ad abbassasse il proprio livello di economia sommersa allineandosi ai livelli della media dell’area euro (ossia a un dato del 15% del Pil), si otterrebbe un’emersione di gettito fiscale e contributivo di circa 40 miliardi.

E’ fondamentale, a fronte di questa realtà, ridurre i lacci burocratici, sostenere le reti d’impresa che affrontano in modo più compatto ed efficace il mercato rendendosi più competitive, va insomma facilitata l’emersione dell’economia sommersa per portare questa fetta rilevante della ricchezza del Paese dentro argini di controllo, sicurezza e legalità.

©Futuro Europa®

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