Cronache dai Palazzi

A Palazzo Madama prosegue l’iter del ddl Boschi con l’approvazione di alcuni articoli chiave, come i tanto discussi articoli 1 e 2; l’articolo 10 che definisce le funzioni del nuovo Senato il quale si occuperà, come la Camera, di leggi costituzionali, di referendum, di Ue, di comuni e di città metropolitane: tutte materie per le quali il bicameralismo paritario non scomparirà mentre per tutto il resto ci sarà solo Montecitorio. Ed ancora l‘articolo 12, che riscrive l’iter parlamentare di un progetto di legge; il 17 relativo al delibera dello stato di guerra; l’articolo 21 che sancisce i principi per l’elezione del presidente della Repubblica. Approvati infine l’emendamento del governo all’articolo 30 del ddl Boschi, che amplia le materie su cui lo Stato può devolvere alle Regioni il potere di intervenire, e l’articolo 31 del ddl che riscrive l’articolo 117 della Carta sulla ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni. Mancherebbero quindi solo 4 articoli  (sono 41 in tutto) per completare la riforma del bicameralismo paritario che dovrebbe approdare in Gazzetta ufficiale nell’ottobre del 2016. Nel frattempo il ministro Maria Elena Boschi ha presentato un emendamento, concordato con la minoranza dem, nel quale si rimanda alla prossima legislatura il varo della legge quadro contenente regole e principi (preferenze, listini bloccati o a scorrimento, numero delle schede) per eleggere i nuovi senatori- consiglieri regionali. Entro tre mesi dall’entrata in vigore della riforma il Parlamento dovrà quindi varare la suddetta legge quadro.

L’iter della riforma costituzionale prosegue nonostante le forze di opposizione si dichiarino “prigionieri politici” della maggioranza, additandone sempre più la prepotenza. Alcuni, i più resistenti all’urto – soprattutto leghisti e pentastellati – contestano tutti gli altri per essersi trasformati in una “stampella del governo”. Primi fra tutti i forzisti, tantoché già si vocifera un eventuale Patto del Nazareno 2.0 e, di concerto, un eventuale ritorno all’Italicum 1.0. Dietro al sostegno all’approvazione al ddl Boschi potrebbe infatti esserci l’intenzione del leader forzista di rinegoziare la legge elettorale, puntando sul premio alla coalizione, anziché alla lista, anche per esorcizzare un’eventuale monopolizzazione del centrodestra da parte di Salvini, che esclude inoltre eventuali patti con Verdini e Alfano. “Non stiamo parlando di forze del centrodestra, ma di partiti ormai organici al Pd. Cosa potrebbero avere mai a che fare con noi?”, chiosa Salvini. Pur dichiarandosi pronto a guidare il centrodestra, Matteo Salvini elude comunque la questione e afferma di non aver affrontato il discorso con Berlusconi perché “ci sarà tempo per discuterne”.

Licenziando molti degli articoli del ddl Boschi, Berlusconi annuncia l’ennesimo ritorno in campo sostenuto da una “grave emergenza democratica”. Si dissolve anche l’appello a Mattarella e la lettera partita dall’indirizzo di FI sembra non essere mai stata scritta; mentre i Cinquestelle, sempre più furibondi, chiedono con insistenza un incontro con il Colle per denunciare che “Grasso non è super partes” e che a rischio la nostra democrazia. Le opposizioni più ardue si scagliano in pratica contro il “patto Renzi-Berlusconi-Verdini-Tosi” e c’è anche chi picchia duramente, come Calderoli, che accenna addirittura al “Nazareno 3, la resurrezione di Lazzaro” per via di un emendamento all’articolo 17. In definitiva, al di là della spaccatura interna al Partito democratico sempre più diviso – “riprendiamoci il partito” è il grido di battaglia fatto risuonare più volte dal duo D’Alema-Bersani –  il dato politico più rilevante è che i trenta senatori forzisti hanno votato con il governo rinunciando a farlo capitolare, una scelta che il capogruppo Paolo Romani difende senza troppi traumi: “Mi interessa la Costituzione, non i tatticismi”.

Il segreto del soccorso offerto dai forzisti a Renzi in Senato è raccolto tutto in una frase del Cavaliere, che fa trapelare l’intenzione di rinegoziare l’Italicum: “Sono abbastanza fiducioso che verrà cambiato”, anche se per ora siamo ancora nel campo delle probabilità. “Il tentativo c’è”, afferma Paolo Romani non disconoscendo l’operazione, ossia una trattativa per tornare all’Italicum 1.0. Una trattativa che in fondo non è poi così segreta e il capogruppo azzurro tiene in piedi il ponte di collegamento con il governo. Il fulcro di tutto il sistema è comunque Renzi che si serve del deficit di ‘identità’ dei due maggiori partiti – Partito democratico e Forza Italia– cercando di riempierlo con la filologia delle riforme, come fossero dei vasi vuoti e a intermittenza comunicanti. Il sospetto che serpeggia nell’ambiente è, alla fin fine, un eventuale intesa sottobanco tra Renzi e Berlusconi.

Un altro punto dolente è rappresentato dalle unioni civili, per cui la maggioranza rischia di spaccarsi a causa dei dissapori con i centristi che sembrano non condividere alcuni passi del ddl Cirinnà, primo fra tutti la stepchild adoption, ossia l’adozione del figlio biologico del compagno, norma che tra l’altro lascia perplessi anche un gruppo di senatori dem. Quando la legge arriverà in aula in Senato – molto probabilmente mercoledì 14 ottobre – verrà infatti accompagnata da un emendamento del Pd finalizzato a cambiare la stepchild adoption: al posto della possibilità di adozione si prevede quella dell’affido. Un affido “rafforzato” che non  durerà soltanto due anni ma perdurerà fino alla maggiore età del minore. L’emendamento è stato firmato da un gruppo di senatori del Pd. “Siamo già arrivati a 25 firme”, garantisce il senatore Stefano Lepri, primo firmatario, che aggiunge: “Abbiamo scritto questo emendamento pensando a come tutelare al meglio il minore figlio di uno dei due partner e permettere all’altro partner di esercitare un ruolo genitoriale”. La stepchild adoption rappresenta il principale nodo da sciogliere del testo di legge e la pratica dell’utero in affitto viene contestata pienamente anche dagli esponenti dem: “Vogliamo essere certi che la stepchild adoption presente nell’attuale proposta di legge non comporti il pericolo di pratiche inaccettabili e gravissime come è, appunto, l’utero in affitto”, ha dichiarato la senatrice pd Rosa Maria de Giorgi. Sulla stessa lunghezza d’onda la senatrice Emma Fattorini, prima firmataria insieme a Stefano Lepri, che non nasconde il suo timore riguardo all’utero in affitto: “Bisogna tener presente che questa paura non è di una sparuto gruppo di cattolici, bensì è un tema condiviso da laici e anche femministe nei paesi dove questa legge è già stata sperimentata. I diritti civili e sociali sono fondamentali, ma si deve stare molto attenti a questo aspetto delicato”. Unioni civili garantite infine da Verdini: “Le voterei subito”, dichiara il leader di Ala.

La legge di Stabilità sarà, con molta probabilità, un fronte di combattimento acceso, sul quale opposizioni e alleati  potrebbero tirare fuori i loro relativi spiriti di vendetta, rivendicando ognuno le proprie richieste. Ncd, a sua volta, chiede più sostegno alle famiglie: “Su una manovra da 27 miliardi, già dal 2016 se ne destinino 1,5 ai bisogni delle famiglie”, afferma Maurizio Lupi in un’intervista al Corriere della Sera. Il presidente del gruppo Ncd-Udc Area popolare ‘declina’ la spesa in tre voci: “350 milioni sul tema della conciliazione lavoro-famiglia, riconoscendo da una parte un credito di imposta all’impresa del 20 per cento della retribuzione per ogni giorno di assenza di un neo genitore e alzando il congedo parentale dal 30 al 60 per cento della retribuzione fino ai sei anni del bambino”. Ed ancora “200 milioni per consentire alle famiglie di dedurre le spese sostenute nel primo anno di vita del figlio, dal passeggino ai pannolini alle visite mediche”; per finire “500 milioni per la lotta alla povertà”, da spendere in “assegni alle famiglie con redditi bassi in proporzione al numero dei figli”, e altri 500 milioni per consentire “un voucher di mille euro” da destinare alle spese in istruzione e formazione di ogni figlio  in età scolare in base alle fasce di reddito. Non ha senso eliminare Imu e Tasi  sulla prima casa se non si aiutano le famiglie che in quelle case vivono, afferma in sostanza Lupi.

Oltre all’abolizione di Imu e Tasi  – imposte che per quanto riguardo le seconde case saranno accorpate in “un’aliquota unica pari alla sommatoria delle due attuali” – e una versione leggera della local tax, nella legge si Stabilità dovrebbe rientrare anche il pacchetto che prevede pensioni più flessibili: sarebbe possibile lasciare il lavoro quattro anni prima rispetto alla soglia prevista dalla legge Fornero, un’operazione che costerebbe circa 10 miliardi di euro. Lo sforzo sostenibile nel 2016 – intorno al miliardo e mezzo – diventerebbe però troppo gravoso già dal 2017 (3,5 miliardi) e ancor di più l’anno successivo, 4,5 miliardi, togliendo il respiro al piano di riduzione delle tasse del governo che, proprio nel 2018, vorrebbe ridurre anche l’Irpef – la “madre di tutte le imposte” – che grava sul reddito delle persone fisiche. La flessibilità delle pensioni rischia quindi qualche aggiustamento ma si prevedono, almeno, norme di salvaguardia per gli “esodati”, che rischiano di rimanere senza stipendio e senza pensione, e l’estensione di “opzione donna” che consente l’uscita anticipata alle lavoratrici. Non supererà l’esame della Stabilità, invece, l’ipotesi del prestito pensionistico, cioè l’uscita anticipata in cambio di un anticipo di 700 euro al mese da restituire poi a rate – i tecnici temono che le domande siano poche – e limitare l’uscita anticipata ai soli lavoratori delle aziende in crisi è una possibilità che viene considerata con il beneficio del dubbio.

Confermata infine la riduzione dell’Ires: l’aliquota oggi al 27,5 per cento scenderà al 24-25 non solo per le aziende del Sud o quelle medio-piccole ma per tutte, un’operazione che vale nel complesso 15-17 miliardi, circa un punto di Pil. L’Ires potrebbe scendere addirittura al 20 per cento dal 2017 accorpata all’Irap che potrebbe trasformarsi in una sorta di addizionale regionale all’Ires, la cui aliquota del 3,9 per cento si sommerebbe al 20 per cento dell’imposta per le aziende, raggiungendo così l’obiettivo di battere la Spagna nella gara ad attrarre le imprese.

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