Salvini-Maroni, tensioni sul Referendum lombardo

Mentre a Roma la riforma del Titolo V porta ad una inesorabile centralizzazione del potere al tempo delegato, sempre dalla sinistra, alle regioni, la Lombardia si appresta a cominciare la campagna referendaria per l’Autonomia. Dopo l’approvazione nel febbraio scorso del referendum consultivo (con modalità elettronica, primo esempio in Italia) per chiedere ai lombardi se volessero più autonomia rispetto a Roma, si è aperta una diatriba interna ed esterna alla maggioranza che ha successivamente fatto aggiustare il tiro al governatore lombardo.

In ballo ci sono le posizioni di due partiti che in parlamento compongono la maggioranza di governo, ma che in Lombardia sono in opposizione: PD e NCD. Il primo, che pur guarda con interesse all’autonomia lombarda, ha chiesto al Presidente della Giunta, prima di attivare il referendum, di trattare a Palazzo Chigi le ragioni del residuo fiscale e dei costi standard. Il secondo, pur avendo votato a favore dell’istituzione del referendum, ha cercato di rimanere defilato dal dibattito politico per non deteriorare i già difficili rapporti interni ed esterni con la Roma.

Se in un primo momento la posizione di Maroni è risultata essere perentoria, asserendo che il voto popolare avrebbe dato più forza alla contrattazione con Roma, ora le cose sembrano leggermente diverse. Durante la scorsa seduta consiglio regionale, è stato approvato il documento redatto dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee Legislative nato con lo scopo di far ravvedere il Governo rispetto alle modifiche centraliste del Titolo V. In quell’occasione, più esponenti della Lega hanno ribadito la necessità di trattare con Roma solo con il verdetto referendario in mano, tutti tranne Maroni, previsto per l’intervento in aula ha preferito non esprimere la sua visione.

Tutto ciò è forse colpa delle tensioni nate con il segretario Federale Matteo Salvini. Il leader leghista è ormai qualche mese che non digerisce la posizione del suo predecessore, sia sul tema del referendum che sull’alleanza, anche per Milano, con NCD. L’eurodeputato non è solito “trattare”, ma preferirebbe irrompere a Palazzo Chigi forte del mandato popolare obbligando Renzi a trattare con la Lombardia e non viceversa.

La posizione di Maroni forse nasce dalle difficoltà che la sua maggioranza sta affrontando, il nodo del rimpasto, la questione NCD e i mal di pancia nella sua lista civica, lo portano a muoversi con cautela. Salvini dal canto suo non sta forzano troppo la mano, ma pare essere molto irritato dall’atteggiamento del governatore. Che tra i due non scorra buon sangue è cosa nota e i recenti screzi nascondono una tensione che sta decisamente logorando il rapporto.

Se Maroni dovesse davvero scendere a Roma a trattare, così come suggerito dal PD lombardo, è certo che Salvini correrà ai ripari, magari stringendo un accordo con Berlusconi, che lasci fuori Bobo e NCD dai giochi per Milano, mettendo in difficoltà la tenuta della maggioranza al Pirellone. Ora spetta all’ex Ministro dell’ Interno muovere la prima pedina di una partita a scacchi che si preannuncia molto impegnativa.

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