Cronache dai Palazzi

Primo piano sulla legge di Stabilità, anche se il presidente del Consiglio sottolinea che “più che di legge di Stabilità si deve parlare di legge di fiducia”. La manovra da 27 miliardi – che potrebbero salire a 29,5 qualora la Commissione europea consentirà all’Italia di aumentare il deficit 2016 al 2,4% dal 2,2% –  verrà finanziata infatti per lo più in deficit, ma Renzi ribadisce: “Rispettiamo le regole europee” e il primo obiettivo è sostenere la crescita, agevolando la ripresa dell’Italia “con il segno più”. Si punta quindi sulla cancellazione degli aumenti dell’Iva e delle tasse sulla prima casa, e sull’eventuale taglio delle imposte sulle imprese anticipato al 2016. Jobs act anche per le partite Iva, mentre il canone Rai finirà nella bolletta dell’energia elettrica.

Il punto debole restano le coperture e le opposizioni contestano il carattere prevalentemente “elettoralistico” della manovra annunciata da Palazzo Chigi. Lega, Movimento 5 Stelle e Forza Italia sostengono che sono solo “chiacchiere” perché in sostanza si tratta di una “finanziaria totalmente in deficit”. Nonostante tutto il premier continua con le rassicurazioni: “State tranquilli: le coperture per la manovra ci sono tutte”. E riferendosi in particolare all’Ue Renzi sottolinea: “Noi facciamo questa manovra nel rispetto delle regole”. Dal 2016 il “tallone di Achille” dei conti italiani, ossia il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo,  “ricomincerà a scendere”  e questo “per la prima volta dopo nove anni”. Viene rimarcato che il deficit è lontano dal tetto del 3%, in quanto al massimo raggiungerà il 2,4% se l’Unione europea concederà la deroga sulla spesa per l’emergenza immigrazione.

Famiglie e imprese sono i bersagli principali dell’operazione di bilancio, per sostenere la ripresa dell’Italia. Grazie ai “super ammortamenti” le aziende, in particolare, potranno scontare fiscalmente il 140% del valore dei macchinari acquistati. Al di là dell’innalzamento del tetto dei contanti da 1000 a 3000 mila euro, continua inoltre la lotta all’evasione e il governo spera di recuperare circa 2 miliardi di incassi dalla voluntary disclosure, ossia la sanatoria per l’emersione dei capitali nascosti; 5,8 miliardi sarebbe invece il valore dei tagli alla spesa e “ulteriori efficientamenti” farebbero recuperare altri 3 miliardi e 100 milioni.

Il canone Rai – che scenderà dai 113,5 euro attuali a 100 per il 2016 e 95 per il 2017 –  potrebbe far recuperare un altro mezzo miliardo, dato che attualmente non lo paga ben il 27% delle famiglie italiane. Ed inoltre altre cifre annunciate: 400 milioni destinati al fondo sociale per il sostegno dei diversamente abili; 600 nel 2016 al fondo per la povertà, eventualmente creato con una legge delega, e poi un miliardo di euro l’anno per il biennio successivo; 450 per il Sud “con il completamento della Salerno- Reggio Calabria”; ed infine il sostegno alla cultura con nuove assunzioni (500) e 150 milioni di fondi nel 2015, 170 il prossimo anno e 165 nel 2018. La contrattazione a tempo indeterminato beneficerà a sua volta di un ulteriore sgravio, tantoché per i contratti firmati nel 2016 il bonus scaricabile corrisponderà a 3200 euro. Nel 2017 la decontribuzione calerà ulteriormente a 1600 euro e nel 2018 il meccanismo dovrebbe azzerarsi.

Benefici anche per le partite Iva. Il governo ha annunciato “il Jobs act degli autonomi” definendo un pacchetto di misure per favorire i piccolissimi imprenditori, tra cui l’innalzamento  a 13 mila euro della franchigia Irap e il tetto per rientrare nel regime forfettario passa da 15 a 30 mila euro. Quotidiani e periodici in versione digitale beneficeranno invece di un abbattimento dell’Iva al 4% , un provvedimento che il presidente della Fieg Maurizio Costa considera “una misura importante, in grado di dare una spinta significativa alla modernizzazione di tutto il sistema editoriale”. In definitiva il peso della flessibilità corrisponderebbe a 14,6 miliardi qualora l’Ue sia disposta a concedere i più ampi margini.

Sul fronte delle riforme con l’approvazione definitiva da parte di Palazzo Madama del ddl Boschi il bicameralismo perfetto si avvia verso il declino. Si studiano inoltre i tempi per il referendum confermativo che molto probabilmente sarà nell’ottobre del 2016. Dopo questa data potrebbe anche essere rivisto l’Italicum reintroducendo nel meccanismo elettorale il premio alla coalizione anziché alla lista. “Bisogna dare attenzione a tutte le preoccupazioni espresse in queste settimane in materia di legislazione elettorale e di equilibri costituzionali”, ha suggerito in Aula l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano davanti ai banchi semivuoti delle opposizioni. Il mutamento del premio avrebbe comunque un costo: più potere alla coalizione (anziché alla lista) a patto che il premier e l’esecutivo siano ancora più forti. Questo è ciò che pensa il costituzionalista Stefano Ceccanti, la cui voce riecheggia a Palazzo Chigi. Ceccanti riporta alla memoria la “forma di governo parlamentare del primo ministro” prefigurata nel settembre del 2013 dalla commissione di saggi voluta da Napolitano e guidata da Gaetano Quagliariello e Luciano Violante. Il premier in pratica potrebbe proporre la nomina e la revoca dei ministri; è licenziabile solo con la sfiducia costruttiva; può a certe condizioni chiedere lo scioglimento delle Camere. Questo è ciò che hanno messo nero su bianco i saggi e anche ciò che ha evocato in Aula Giorgio Napolitano il giorno in cui la riforma del bicameralismo paritario ha ottenuto il via libera definitivo da parte della Camera che la stessa riforma costituzionale si appresta a trasformare. “A questo diverso equilibrio – spiega Ceccanti – faceva forse allusione il presidente Napolitano…Solo perché il governo e il presidente erano così rafforzati si prevedeva (allora) il premio anche alla coalizione”. In pratica ci sarebbe ancora tempo per ripristinare un certo “equilibrio costituzionale”. Nei prossimi giorni Gaetano Quagliariello – al di là delle sue dimissioni dal ruolo di coordinatore del partito di Alfano – presenterà a sua volta un pacchetto di disegni di legge che incoraggiano questo percorso, mentre i dirigenti del Pd renziano non sembrano affatto digerire il premio alla coalizione: “Alla fine Matteo non cambierà nulla – afferma Raffaele Fiano – non ha alcun interesse a riconsegnare la golden share delle coalizioni a partitini del 3 per cento. E che facciamo, ricadiamo nei vecchi vizi di coalizioni messe su solo per i voti e che poi si sfasciano perché incapaci di governare?”. Il ragionamento di Fiano ricalca ciò che pensano a Palazzo Chigi: un partitino del 3 per cento non può essere l’arbitro di un eventuale maggioranza solo perché parte di una coalizione, e il partito vincente non può essere ostaggio del partitino alleato. Dando già per fatta la modifica i grillini denunciano invece eventuali cambiamenti di rotta: “Vogliono impedirci di vincere le elezioni, sono modifiche fatte per danneggiarci”, ammonisce Danilo Toninelli trasformandosi così in alleato di quella parte del Partito democratico che vorrebbe conservare il premio alla lista.

Nel frattempo il dibattito sulle unioni civili – il cui destino sarà noto solo nel 2016, come ha affermato il ministro Maria Elena Boschi negli studi di Porta a Porta –  ha provocato visibili spaccature nel partito di Angelino Alfano (e quindi nella maggioranza) con la defezione di Quagliariello, che in una lettera chiede all’attuale ministro dell’Interno di fare un passo indietro dall’esecutivo. Quagliariello sottolinea “le differenze sulla linea politica”, invita il suo ex segretario a trovare “il coraggio di costruire il futuro” e sottolinea che “non ci sarà nessun  ritorno al passato”, ossia nessun ritorno all’ovile da Berlusconi che alcuni giorni fa in una riunione con i suoi parlamentari aveva per l’appunto dichiarato: “Gaetano sta formando un nuovo partito per tornare nel nostro centrodestra”.

“Io non fermo nessuno” è la risposta di Angelino Alfano, “siamo una forza di cambiamento, autonoma, nessuno vuole andare con il Pd. Restiamo leali al governo”. In una riunione con i coordinatori regionali convocati per calmare le acque, il responsabile del Viminale rassicura i suoi di essere “in contatto con altre forze che si trovano al centro” e auspica di “mettere in piedi un cantiere per comporre un’area forte, solida e non frammentata”. L’obiettivo di Alfano è anche quello di procedere insieme verso la modifica della legge elettorale – “con Renzi già ne stiamo ragionando”, ha sottolineato Alfano – e di puntare sul referendum.

Dopo due ore e venti di dibattito e pensanti accuse da parte dei cinquestelle Palazzo Madama ha inoltre approvato in via definitiva lo sblocco dei finanziamenti ai partiti relativi al 2013-2015, anche senza l’esame dei bilanci. Aboliti dalla legge Letta, i contributi relativi a quel periodo dovevano essere comunque versati seppur dimezzati ma solo dopo essere stati rendicontati e verificati da una specifica commissione. La mancanza di personale idoneo ha però portato alla proposta di legge Boccadutri con la quale oggi si è sistemato tutto. Siciliano, 39 anni, eletto con Sel poi passato nel Pd, Sergio Boccadutri sottolinea che “questa legge non opera alcuna sanatoria e non regala niente ai partiti”. E per di più, aggiunge Boccadutri, “in democrazia è giusto che i partiti godano di un finanziamento, diretto o indiretto come il 2 per 1000. L’importante è che tutto avvenga nella massima trasparenza”.

A proposito di pensioni, infine, negli ultimi tre anni di lavoro il dipendente con almeno 63 anni e sette mesi di età potrà scegliere il part time al 50% rinunciando solo al 25% dello stipendio, mentre l’azienda metterà in busta paga una parte dei contributi. La pensione effettiva in pratica non subirà alcuna riduzione in quanto i contributi mancanti verranno versati dalle casse dello Stato. Si tratta di una misura adottata in forma sperimentale che costerà circa 100 milioni di euro l’anno.

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