47 morto che parla (Film, 1950)
Una commedia di Ettore Petrolini del 1918 sta alla base del soggetto di 47 morto che parla, film di culto che racconta le vicissitudini dell’avarissimo barone Antonio Peletti (Totò), intenzionato a non cedere la parte di eredità paterna destinata a costruire un scuola. Il grande autore comico italiano saccheggia L’avaro di Molière, cita La Divina Commedia di Dante Alighieri e realizza un’opera indimenticabile della comicità del primo dopoguerra. La battuta: “… e io pago!”, pronunciata da Totò si sente ancora citare nelle conversazioni come normale intercalare. Non solo. Striscia la notizia, popolare trasmissione televisiva di Canale Cinque, ci ha costruito attorno un siparietto comico settimanale. Il film è girato in interni, molte parti sono ricostruite in studio, ma è notevole la sequenza ambientata in un presunto Inferno dantesco, immersa in un paesaggio di soffioni boraciferi, così come è puro cinema fantastico tutta la parte a bordo di una mongolfiera che precipita in Sardegna.
L’avarizia del barone è alla base dei molti momenti di comicità, dalla sequenza del macellaio, buggerato con ragionamenti surreali, che finisce per pagare l’acquisto della carne, alle parti in cui Totò difende la preziosa eredità dalle altrui mire. “Noblesse oblige, la libertà è obbligatoria”, è un’altra battuta che si ricorda e che tornerà in diverse pellicole interpretate da Totò. Il fulcro del film risiede nella trovata comica della presunta morte di Totò, che prima finisce in un Inferno popolato da attori, quindi viene accompagnato sulla Terra da Silvana Pampanini (elemento sexy della pellicola), sotto forma di presunto fantasma, ritenuto invisibile. Il film è girato nei Campi Flegrei ed è ambientato in un’ipotetica città della Campania.
Goffredo Fofi non ama il personaggio di Totò, perché costringe la comicità dell’attore napoletano in “un carattere monocorde”, (l’avaro) rendendolo “succube dell’intreccio”, non consentendo sbalzi creativi. Paolo Mereghetti condivide tale impostazione critica e concede soltanto una stella e mezzo. Morando Morandini aggiunge una stella, affermando che è “un film di Totò finalmente ben costruito, con un personaggio che è un carattere, dispone di una personalità ben definita, al posto della solita marionetta”.Non tutta la critica è unanime, come abbiamo visto, c’è chi parla di “un film triste, senza anima, come una macchina che si inceppa” (Bonicelli). Tre stelle per Pino Farinotti, valutazione che condividiamo, perché Totò mette la sua comicità e una grande personalità di attore al servizio di una storia complessa e ben congegnata, ricca di momenti umoristici e di elementi fantastico – surreali. Squadra di sceneggiatori d’eccezione, da Metz e Marchesi, passando per Age e Scrapelli, per finire con Manzari, non accreditato nei titoli di testa.
Carlo Ludovico Bragaglia (Frosinone, 1894 – Roma, 1998) è un regista – sceneggiatore figlio d’arte, proveniente da una famiglia di attori e cinematografari. Comincia con il teatro, si avvicina al cinema negli anni Venti, come fotografo, montatore e sceneggiatore della Cines. Regista indimenticabile dei telefoni bianchi, debutta nel 1932 con il surreale O la borsa o la vita e abbandona la macchina da presa nel 1963, con I tre moschettieri. Realizza cinema popolare per tutta la vita, forse la sola eccezione a uno stile fondamentale è costituita proprio dal primo lungometraggio. Regista di commedie sentimentali, peplum e molte pellicole di Totò, che lo rendono uno dei più prolifici autori (commerciali) del dopoguerra. (Fonte: Roberto Poppi – “I registi italiani” – Gremese).
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Regia: Carlo Ludovico Bragaglia. Soggetto: Ettore Petrolini. Sceneggiatura: Vittorio Metz, Age, Scarpelli, Marcello Marchesi, Nicola Manzari (non accreditato). Fotografia: Mario Albertelli. Scenografia: Alberto Boccianti. Interpreti: Totò, Silvana Pampanini (doppiata da Lydia Simoneschi), Carlo Croccolo, Mario Castellani, Aldo Bufi Landi, Adriana Benetti, Arturo Bragaglia, Tina Lattanzi, Gildo Bocci, Franco Pucci, Eduardo Passarelli, Date Maggio, Diana Lante, Gigi Reder. Durata: 82’. Bianco e Nero. Comico. Italia.
[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]