Bonus Giovani, solo un tampone

Al Nord, i fondi del Governo per l’assunzione dei giovani italiani under 29 e senza diploma sono già finiti. Anzi, il 4 ottobre scorso, a soli tre giorni dal click day per la presentazione delle domande, la piattaforma dell’INPS segnava il “sold out” nelle regioni produttive del Paese. In particolare, in Lombardia ed Emilia Romagna risultava sforato il tetto massimo dei fondi. A seguire Abruzzo, Veneto, Trentino e Friuli Venezia Giulia. Ancora disponibili, invece, le risorse per il Sud, anche se l’andamento delle domande sembra non rispettare le aspettative del pre-lancio (in Basilicata fino a pochi giorni fa il monte segnava l’asticella poco sopra le 150 domande, contro le 8.000 nazionali).

Una fame vorace di liquidità, quella delle imprese, che in pochi giorni hanno dilapidato quanto messo a disposizione per l’occupazione e i giovani. Un dato confortevole, se letto in termini di connessione delle aziende agli ammortizzatori o di ricettività alla normativa italiana in materia di lavoro. Da prendere con distacco, invece, se si considerano i termini assoluti del fenomeno: il numero delle domande pervenute al Nord si lega alla “capillarità industriale” di questi territori e alla densità abitativa delle principali regioni.

Ecco però qualche indicazione sull’ammortizzatore: l’incentivo all’assunzione previsto dal Dl 76/2013 viene attribuito a quei datori di lavoro che intendono assumere con contratto di lavoro a tempo indeterminato lavoratori tra i 18 ed i 29 anni, privi d’impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi e privi di diploma di scuola media superiore o professionale. Il bonus assunzione ha misura pari ad un terzo della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali e in particolare, il valore mensile dell’incentivo non può comunque superare l’importo di 650 euro per lavoratore. In caso di assunzione a tempo indeterminato l’incentivo spetta per 18 mesi; in caso di trasformazione a tempo indeterminato di un rapporto a termine l’incentivo spetta per 12 mesi.

Una bella idea secondo il Ministro Giovannini, in grado di creare circuito lavorativo nell’ordine dei 100 mila nuovi posti di lavoro. Una misura non sufficiente e nemmeno lontanamente adeguata a risolvere le difficoltà di una fascia sociale strategica per il paese, sempre più in via di invecchiamento, è invece il giudizio di alcuni movimenti giovanili contattati da Futuro Europa.

Già perché, non solo il bonus Giovani non cura la disoccupazione dei 15-24enni – salita per la prima volta sopra il 40%, il livello più alto dall’inizio delle serie Istat mensili (2004) e trimestrali (1977) – ma nemmeno si antepone come antidoto alla fuga di cervelli universitari che sta caratterizzando l’emigrazione italiana degli ultimi anni.

A dimostrarlo alcuni dati raccolti di Almalaurea, il Consorzio Interuniversitario che rappresenta il 78% dei laureati italiani.  Tra i laureati di primo livello del 2011, infatti, intervistati da Almalaurea ad un anno dal conseguimento del titolo, il tasso di disoccupazione è pari al 24,5% e ad essere disoccupati sono in prevalenza i laureati umanistici, in un paese dove resta alta l’attenzione accademica per queste materie e sottodimensionata l’industria culturale, dell’arte, del turismo e le altre medie industrie connesse al sistema storico, agroalimentare ed architettonico dei territori.

Dall’indagine del Rapporto Giovani dell’Istituto di Studi Superiori Giuseppe Toniolo, realizzata nel 2012, invece, è emerso che quasi il 50% dei 18-29enni italiani è disposto a trasferirsi stabilmente all’estero per migliorare il proprio lavoro, alimentando il preoccupante fenomeno della fuga di capitale umano. Un dato questo confermato recentemente anche dall’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero), secondo cui, nell’ultimo anno gli emigrati tra i 20 e i 40 anni sono aumentati del 30%.

Il bonus Giovani, dunque, non resta che un tampone non sufficiente a curare la malattia giovanile dell’occupazione in Italia. Un’aspirina data ad un malato cronico che, oltre a succhiare risorse economiche in spesa pubblica – alla stregua di un’idrovora – zoppica nel dare risposte strutturali a quelle tre generazioni di ragazzi che hanno perso il passo dietro alle riforme mancate dei propri padri.

©Futuro Europa®

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